Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Sebastiano Prino, Sulmona

Sebastiano Prino, Sulmona

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Sebastiano Prino, Sulmona
 
Dal di Dentro
 

Il mio nome é Raffaele e non sono un ergastolano. Non so se per caso o per fortuna ma non ho commesso reati così gravi da rischiare il carcere a vita, anche se ci sono andato molto vicino come condanna, intendo, poiché mi hanno condannato ad anni 28 mesi 2 di carcere, anche se oltre la metà, é derivata da uno dei milioni di errori della nostra tanto amata giustizia. Come penso anche possa essere successo a molte persone che purtroppo hanno sulle spalle una condanna così grave come l’ergastolo che è peggio di una condanna a morte, sia derivata da processi frettolosi e figli di un disagio sociale che proviene da molto lontano. Ma a noi interessa parlare d’oggi. Io penso che anche chi non è ergastolano dovrebbe dare un piccolo contributo per i fratelli che hanno scritto sul foglio di detenzione FINE PENA MAI, anche perché viviamo in carcere nei circuiti 41bis, E.I.V. o A.S. e si sta quasi sempre a contatto con ergastolani, a volte nella stessa cella. Con molti si diventa amici e così succede che anche noi viviamo la loro condizione. Io stesso, che ho convissuto con ergastolani per tanti anni ho notato che l’ergastolano diviene diverso da tutti. Molti diventano irascibili e con loro è difficile una convivenza normale in una stessa cella. Altri diventano tristi, quasi rassegnati a morire in galera, questa è una situazione difficile anche per chi condividendo la loro vita, cerca con tutte le proprie energie di offrire all’altro conforto. La vita è un dono di Dio e nessuno tranne lui dovrebbe poterla togliere. Capita però che la giustizia terrena con ignoranza e spesso con arroganza sembra sostituirsi a Dio. Questo è sbagliato e credo sia dovere di tutti lottare fino all’ultimo respiro affinché nessun’uomo possa prendersi la vita di un suo simile. Se l’ergastolano è un criminale per aver commesso questo cosa diventa chi ha il dovere di amministrale la giustizia ma a sua volta commette lo stesso errore. Centinaia di persone sono stata fatte morire in carcere e le considero ammazzate da questo sistema. Questa mattanza non ha cambiato niente fuori dal carcere, anzi la criminalità diventa sempre più feroce, la droga continua la sua azione di sterminio e si moltiplicano ancora altri crimini. A questo punto penso sia un dovere per noi, ergastolani e non, di fare qualcosa perché avvenga un cambiamento. Bisogna far comprendere all’opinione pubblica, ai politici, a chi amministra la giustizia, e alle persone comuni che se è giusto punire chi commette un crimine la condanna giusta non può e non deve essere l’ergastolo. Io tra qualche anno dovrei uscire ma farò in modo di non dimenticarmi di questa causa che ho a cuore e che ritengo giusta. Concludo salutando tutti e invitandovi a pensare al fatto che uniti ce la possiamo fare!

Raffaele Afeltro

 

Molte volte, soprattutto quando succede qualche fatto di cronaca, che per i soliti scopi -ovvero disinformare la gente, spostare la loro attenzione da problemi più gravi e fornire ai cittadini un “nemico” su cui proiettare tutta la propria rabbia- viene eccessivamente enfatizzato dagli organi di informazione, in tanti qui dentro si prova ad immaginare quale tipo di considerazione possa avere di noi detenuti la gente normale? E la risposta, naturalmente, è sempre la più ovvia. Al principio anche io sono rimasto intrappolato in questa logica, poi ho elaborato un sistema che in qualche modo mi ha permesso di farmi un’idea diversa della questione.

In questi anni di prigionia mi è capitato diverse volte durante i miei spostamenti (transiti da un carcere all’altro, qualche visita ospedaliera oppure in occasione di udienze giudiziarie) di incontrare persone libere nel loro habitat naturale. E in quelle occasioni ho sempre cercato di guardare diritto negli occhi della gente che, a causa delle catene e della scorta che fa da sgradito “cicerone”, inevitabilmente dirige il proprio sguardo su di te. E in quegli sguardi mi è capitato di leggere vari stati d’animo: curiosità, biasimo, malevolenza, indifferenza, ma spesso anche simpatia. Cioè tutta quella miriade di sentimenti che talvolta capita di provare anche per uno sconosciuto quando ci si ferma un attimo ad osservarlo.

Questo a mio parere significa che, nonostante le continue campagne per “mostrificare” chiunque per un attimo o per un periodo della sua esistenza si sia posto fuori dal cosiddetto contratto sociale sui cui dettami si dovrebbe svolgere la convivenza tra umani, il detenuto non è visto a priori dal popolo, come le lobby informative vorrebbero convincere tutti a fare, alla stregua del male assoluto.

A questo proposito voglio citare un episodio che mi è successo non più di quattro mesi fa, durante il tragitto Olbia-Roma su un velivolo Alitalia. Mentre, a causa dello zaino che trasportavo sulle spalle e delle catene che mi impedivano la naturale coordinazione dei movimenti, mi spostavo a tentoni sull’aereo per raggiungere il posto assegnato, una hostess, visibilmente alterata si avvicinò alla scorta e chiese che mi venissero immediatamente tolte le manette, poiché in quel momento, a suo dire, la mia condizione oltre ad essere umiliante era indegna di uno stato civile. Feci un gran sorriso a quella ragazza e nel contempo la rassicurai sul mio sentire morale, spiegandole che quelle catene per me non costituivano vergogna.

Questa breve testimonianza, al pari di tante altre che verranno, si prefigge lo scopo di far conoscere la realtà –tramite l’esperienza di chi vive quotidianamente sulla propria pelle- le conseguenze delle disastrose condizioni di vita detentiva e della sproporzionalità delle pene che vengono inflitte dal sistema penale italiano.

Dunque, con questo scritto mi rivolgo principalmente agli uomini liberi che hanno a cuore non solo il nostro ma anche il proprio stato giuridico. Poiché un sistema penale e sanzionatorio che elude il diritto più elementare dell’uomo ad evolversi usando come fulcro delle proprie riflessioni gli errori commessi, è un sistema che, a lungo andare, come una spirale può ritorcersi contro tutto e tutti.

Con questi propositi, il primo dicembre in tutti i carceri d’Italia inizierà uno sciopero della fame a staffetta per chiedere l’abolizione dell’ergastolo dal codice penale e trattamenti detentivi più umani.

Chiara, come poi ho saputo si chiama la hostess, si è sentita a disagio dinnanzi ad un comportamento posto in essere dalla giustizia del suo paese e si è opposta ad un sopruso che nell’indifferenza generale viene quotidianamente replicato. Chiedo, dunque, a voi cittadini che avrete occasione di leggere queste righe, di provare ad analizzare il comportamento di quella coraggiosa ragazza. Riflettete e documentatevi su quanto vi ho detto, ma poi per favore dateci una mano a riappropriarci delle nostre esistenze!

 

Sebastiano Prino
Per gli ergastolani in lotta per la vita, Sulmona