Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Mai più CPT, di G.Santoro

Mai più CPT, di G.Santoro

Mai più CPT

di Gennaro Santoro

 

Il disegno di legge presentato il 21 Luglio alla Camera dei Deputati concernente modifiche al Testo Unico sull’immigrazione, primo firmatario Giuliano Pisapia del PRC (gli altri firmatari sono: On. Mauro Bulgarelli, On. Carlo Leoni, On. Marco Boato, On. Paolo Cento, On. Elettra Deiana, On. Pietro Folena, On. Graziella Mascia, On. Maria Celeste Cardini, On. Gabriella Pistone, On. Ermete Realacci, On. Giovanni Russo Spena, On. Alba Sasso, On. Tiziana Valpiana, On. Katia Zanotti), parte dalla consapevolezza della necessità di un intervento legislativo che ridisegni in toto la disciplina che regola il fenomeno migratorio, abolendo in primis il postulato su cui poggia l’odierna concezione capitalista secondo cui i confini nazionali vengono meno per ciò che attiene la libera circolazione del capitale o delle merci, mentre per ciò che attiene la libera circolazione delle persone non comunitarie (compresa la loro forza lavoro) assumono le vesti di insormontabili fili spinati, carrette di mare speronate e inumani centri di detenzione.

Bisognerebbe insomma abolire l’idea antiliberale (oltre che inconciliabile con una concezione di stato sociale di diritto) secondo cui l’ingresso legale del cittadino non comunitario è subordinato al c.d. contratto di soggiorno, ossia, all’incontro, a distanza, tra domanda ed offerta del lavoro e dunque all’attivazione della procedura di richiesta di autorizzazione al lavoro dal paese di provenienza e all’emanazione in suolo italico di decreti flussi sganciati dalle reali esigenze dell’economia nazionale.

L’auspicio di una revisione globale dell’intera materia che permetta realmente di contrastare l’immigrazione c.d. clandestina e di integrare gli stranieri mediante politiche attive che superino definitivamente l’odierno ordinamento repressivo-criminalizzante (oltre che speciale, emergenziale ed extra-ordinem) cui è relegato il cittadino straniero non può però prescindere da un intervento urgente, e non più procrastinabile, sui CPT, veri e propri luoghi di privazione della libertà nei confronti di soggetti autori dell’illecito amministrativo (e non penale) dell’ingresso o della permanenza irregolare nel 'Belpaese' (un tempo, luogo di emigrazione).

Per questo ordine di motivi, e sulla base degli impegni assunti l’11 Luglio a Bari dalla società civile e dai governatori delle regioni italiane, l’associazione Antigone, con il sostegno di rappresentanti di tutte le forze dell’opposizione, ha pensato di proporre un disegno di legge che inizi ad intraprendere la strada del cambiamento e della ri-democratizzazione del paese partendo dall’abolizione di quella aberrazione giuridica nota con il nome di CPT.

Il disegno di legge si prefigge di trasformare tali 'non luoghi' in luoghi con la funzione (umanitaria) di prima accoglienza dei migranti appena giunti in Italia, piuttosto che centri di detenzione amministrativa coatta. Nello stesso tempo c'è l’esigenza di abrogare l’attuale procedura di espulsione/intimazione coatta (e criminalizzante) sostituendola con una nuova procedura interamente giurisdizionalizzata. In altre parole chi oggi - e fino a quando non vi sia una riforma organica della materia - è destinatario di un provvedimento di espulsione o allontanamento può eccepire l’illegittimità dello stesso innanzi al giudice ordinario (e non più il giudice di pace) e non potrà essere espulso fino a quando non intervenga la decisione dell’autorità giudiziaria. L’accoglimento del ricorso potrà avvenire anche nei casi in cui, pur essendo legittimo il provvedimento d’espulsione, l’interessato adduca ragionevoli motivi che giustificano il soggiorno regolare nel nostro paese (c.d. regolarizzazione permanente); nelle ipotesi di rigetto del ricorso, inoltre, il giudice potrà liberamente determinare il periodo di tempo di interdizione al rientro in Italia, venendo meno la regola secondo cui tale divieto operi di regola per un periodo di 10 anni o, eccezionalmente, per almeno 5 anni.

A tutela dell’ordine pubblico e della effettività delle espulsioni legittime viene introdotta la misura della sorveglianza speciale – disposta dal questore con decreto motivato e sottoposta alla convalida del giudice entro 48 ore-, ossia, l’obbligo per chi è destinatario di un provvedimento espulsivo di

dichiarare un domicilio dove dovrà rendersi reperibile in determinate ore del giorno; in via sussidiaria, ossia, per chi non abbia alcun luogo dove poter eleggere domicilio, quest’ultimo potrà essere eletto presso i CPT.

Naturalmente, vi dovrà essere l’impegno della società civile e degli enti locali per creare strutture idonee dove lo straniero senza dimora possa eleggere domicilio senza essere costretto a passare alcune ore della giornata in CPT; ma la preoccupazione che, per dirla spiccia, il trattenimento nei CPT esca dalla porta per entrare dalla finestra viene meno se si considera il vasto intervento (anche) nel campo dell’accoglienza già oggi esistente grazie all’impegno delle associazioni di settore che potrà essere finalmente essere sorretto dallo Stato e dagli enti locali: si consideri l’ingente somma di denaro che la finanza pubblica risparmierà una volta che verrà smantellata la logica custodiale sottesa ai CPT (e si consideri come le risorse umane e finanziare delle forze dell’ordine – le prime a lamentarsi al riguardo – finalmente potranno essere destinate a problemi reali quali la lotta al terrorismo e alla criminalità).

Allo stesso tempo si è pensato di creare un meccanismo premiale nei confronti dello straniero che si attenga alle prescrizioni impartite nel provvedimento che dispone la sorveglianza speciale, ossia, in caso di rigetto del ricorso e conseguente esecutività del provvedimento espulsivo, non solo non vale la regola del divieto di rientrare in Italia per almeno 5 anni ma anche non viene effettuata la segnalazione al SIS, in tal modo incoraggiando il rispetto delle prescrizioni impartite; nei confronti di chi si renda irreperibile può invece scattare l’arresto fino ad un mese, così come, nei confronti di chi rientri in Italia contravvenendo l’interdizione al rientro per un determinato periodo di tempo l’espulsione è immediatamente esecutiva.  L’altra novità principale del DDL è rappresentata, infine, dall’abrogazione del trattenimento dei richiedenti asilo in centri di identificazione o in CPT. Per farla breve, non è concepibile che chi fugge da guerre o persecuzioni possa essere ingabbiato per via di fittizie traversie burocratiche e in beffa alla Convenzione di Ginevra che al suo art.31 dispone il divieto di sanzionare l’ingresso o la permanenza irregolare del richiedente asilo.

Si riconosce che tale proposta possa risultare - oltre che parziale - a seconda di chi la vede, troppo permissiva o troppo restrittiva nei confronti degli odierni (e nostrani) “irregolari”.

Non è un caso che, nonostante la proposta abbia trovato l’approvazione di rappresentanti appartenenti a tutte le forze dell’opposizione, addirittura all’interno di rifondazione vi è chi la esalti e chi, pur condividendola, la consideri come una soluzione, per così dire, timida.

Chi ha concepito tale disegno non sostiene l’immutabilità della proposta ma l’esatto contrario: in altre parole, si è ritenuto opportuno passare dalle dichiarazioni programmatiche scaturite dall’incontro del Levante a una bozza su cui lavorare insieme perché i diritti fondamentali dei migranti non siano relegati all’arbitrio del momentaneo Legislatore o alla sola prassi amministrativa e poliziesca. Il fine ultimo di questo DDL è insomma quello di rescindere il tabù secondo il quale i CPT sono un “male necessario” e l’alternativa sola è rappresentata da una proliferazione degli stessi in ogni regione italiana per evitare il sovraffollamento e l’inumanità di tali luoghi. Al contrario, riteniamo che le logiche della repressione e della criminalizzazione del migrante vadano estirpate alla radice istituendo un tavolo di lavoro che ripensi l’intero assetto normativo, e, al contempo, si adoperi im-me-dia-ta-men-te al fine di porre fine all’abnegazione del diritto e della democrazia edificata in gabbie etniche comunemente note al nome cipitì.