Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator Carmelo Musumeci - Sono un uomo ombra

Carmelo Musumeci - Sono un uomo ombra

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Carmelo Musumeci

Ergastolano in lotta per la vita

Sono un uomo ombra

    Sabato 7 marzo 2009. Siamo a Reggello, nelle colline intorno a Firenze, per ritirare un premio ad un Concorso Letterario Nazionale di Poesia. Ma il premio non è per noi, è di Carmelo Musumeci. Noi siamo qui con sua figlia a rappresentarlo perché lui non c’è e non ci potrebbe essere…

      “…Sbarre sull’anima, la strappano, la calpestano, la umiliano, ci camminano sopra. Sbarre sulla speranza, anni senza giorni, giorni senza anni, tempo fermo e morto…” scrive nella poesia “Sbarre” per la quale è stato premiato.

       Carmelo avrebbe desiderato ritirare il premio personalmente  ma, come spiega in una lettera che ha scritto per questa serata, “…sono un uomo ombra, un uomo senza futuro, un ergastolano con il reato ostativo, condannato ad essere colpevole per sempre. L’ergastolo senza benefici, senza mai un giorno di permesso, senza una speranza, è la morte che ti leva la vita. Mentre si parla molto di certezza della pena, si fa assoluto silenzio su noi, sepolti vivi, che è più conveniente dimenticare: per tanto clamore per chi in galera non ci va,  si tace, invece, per noi destinati a restarci tutti i giorni della nostra vita.”              

 Carmelo è in carcere da 20 anni, condannato all’ergastolo senza benefici. Nato in terra di Sicilia, dove il contesto sociale unito alle vicissitudini familiari lo hanno portato presto a vivere fuori dalla legalità, attualmente si trova nel carcere di Spoleto e porta avanti la battaglia “Mai dire mai” per l’abolizione della pena senza fine. “Applicare la pena dell’ergastolo è il più grande male che un uomo possa commettere nei confronti di un altro uomo. L’Italia è l’unico paese in Europa dove l’ergastolano non ha veramente mai un fine pena. Non c’è mai  un giorno di permesso, mai  un Natale in famiglia…Non ho potuto esserci mai ad un compleanno dei miei figli, dei miei nipoti, della donna che amo. Non c’ero alla laurea di mia figlia, né al matrimonio di mio figlio, non c’ero quando nascevano i miei nipoti e neanche ora posso dare loro una carezza, non posso sperare di andare a riprenderli quando escono da scuola, non ho diritto di sperare di giocare con loro nel parco: sono un fantasma, un uomo ombra. Vorrei dedicarmi alla mia famiglia, agli studi, a far del bene agli altri, ma non ho possibilità di dimostrare che sono diventato un’altra persona: penso che non me lo permetteranno mai, che mi terranno sempre chiuso dentro questa cella.

Come può lo Stato utilizzare leggi per permettere l’annullamento di tante vite? Come può  non riconoscere i cambiamenti che 20, 30 anni di detenzione hanno avuto sulle persone?”

    Mentre la funzionaria del Comune continua a leggere la lettera, un bambino seduto dietro a noi sussurra alla mamma: “Da grande voglio fare l’avvocato”. Sorrido. Nella sua semplicità questo bimbo ha colto nel segno: Carmelo forse voleva proprio questo, far comprendere che c’è una causa da difendere…“L’art. 5 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo dichiara che: “Nessuno dovrà essere soggetto a torture, o a trattamento o a pena crudele, inumana o degradante”. L’ergastolo che non finisce mai non è solo tortura e pena crudele: è un dolore all’infinito, un dolore infinito dell’anima. L’Art. 27 della Costituzione Italiana, sancisce: “Le pene devono avere fini riabilitativi”. Come può essere rieducante un carcere che non farà mai uscire una persona?  I media fanno apparire che in Italia l’ergastolo non esiste, che nessuno sconta davvero la pena, tra premi, condizionale, ecc.. ma non è così. Da qui noi non usciremo, è una morte civile a tutti gli effetti.”

 Carmelo termina la sua lettera citando Don Oreste, a lui molto caro. “Chi mi rappresenta stasera è la mia famiglia e alcuni amici della Comunità Papa Giovanni XXIII di Don Oreste Benzi, che qualche giorno prima della sua morte, nel 2007, ha detto : “Adesso inizia lo sciopero della fame nel carcere di Spoleto, per l’abolizione dell’ergastolo. Hanno ragione. Che senso ha dire che le carceri sono uno spazio dove si recupera la persona se è scritta la data di entrata e la data di uscita mai? È una contraddizione in termini. Perché non devono aver il diritto di dare prova che sono cambiati?  Non è giusto questo."

Carmelo ha conosciuto Don Oreste nel 2007 e da 2 anni segue con noi il progetto “Oltre le Sbarre”, programma della Comunità Papa Giovanni XXIII di condivisione di vita con i detenuti.

Lo incontriamo nel carcere di Spoleto: si sta laureando in giurisprudenza, ha appena superato un altro esame universitario ed ha subito ricominciato a scrivere. Oltre a poesie e racconti, scrive fiabe. L’ultima è il seguito del suo libro “Zanna Blu”, dove Carmelo è nelle vesti di un lupo in continua fuga dagli uomini che lo tengono prigioniero.

A proposito di lupi, perché ti definisci un lupo cattivo? 

“Perché spesso i cattivi sono più buoni che i bravi.”

Qual è stato il percorso che ti ha portato all’illegalità?

“La povertà della terra e della famiglia dove sono nato, il degrado del contesto sociale in cui sono vissuto, la separazione dei genitori, la cultura e la mentalità dell’ambiente in cui sono cresciuto.”

Perché si finisce condannati con l’ergastolo ostativo-senza benefici?

“Non sempre quando un ergastolano non diventa “collaboratore di giustizia” è per omertà, ma per ignoranza, paura, perché è innocente o semplicemente perché, giusta o sbagliata che sia, vuole scontare la sua pena senza usare la giustizia per uscire dal carcere, senza mettere qualcun altro al suo posto.”

Raccontaci brevemente se, come e perché il carcere ti ha cambiato.

“Solo i sassi non cambiano, ma col tempo e le intemperie cambiano anche loro. Si cambia giorno per giorno sia fuori che dentro...ma in carcere non si può cambiare in meglio. Il carcere non fa altro che aggiungere male al male e  così com’è ora non rieduca nessuno.

Cosa faresti se fossi il Ministro della giustizia?

“Abolirei il carcere. Farei come ha fatto Don Oreste, aprirei delle comunità affinchè chi ha commesso il male venga condannato a fare del bene. Una condanna d’amore. Con il bene si rieduca, non con la punizione. Quello che ti fa cambiare è il senso di colpa, ma se il sistema dimostra di essere più cattivo di me, io non scoprirò mai il senso di colpa per quello che ho fatto di male.”

Di che cosa ha paura un lupo cattivo?

“Della solitudine, della carenza d’amore, di essere abbandonato e di essere rinchiuso, di non riuscire a diventare un lupo bravo.”

Vivere l’ergastolo: si può sperare dietro le sbarre?

“Io non posso sperare, ma lotto ugualmente. Sono condannato ad essere colpevole per sempre.  Quando ero  sottoposto al regime di tortura del 41 bis  non ho mai potuto dare una  carezza ai miei figli nell’età in cui ne avevano più bisogno, anche se li ho lasciati all’età di 7 e 9 anni e non ho mai più passato un giorno con loro. Non posso avere la speranza che vada meglio con i miei due nipoti, di 3 anni e di 15 mesi. La mancanza di speranza è il meccanismo di sofferenza più struggente che il Diritto potesse escogitare per un condannato all’ergastolo.”

Cosa dà la forza di andare avanti a chi non può sperare?

“L’amore per la famiglia, gli amici, ma anche l’Amore universale: vuol dire guardare i sorrisi dei bambini, cercare di far parte del mondo esterno, dei vivi: in carcere ti senti un morto.”

Una laurea e la scrittura come atto di..?

“Rivincita per chi mi ha considerato solo un ragazzo e un uomo irrecuperabile, condannato ad essere cattivo per sempre.”

Un messaggio per chi sta dentro?

“Quello che dico sempre ai miei compagni: non smettere di lottare. La nostra libertà, almeno quella interiore, dipende da noi. Per cambiare le cose fuori  da noi bisogna cambiare prima dentro di noi.”

E a chi sta fuori?

“Siate la nostra voce. Il Card. Tettamanzi quest’anno alla Messa di Natale al carcere di Opera a Milano ha detto: -E’ proprio vero che l’ergastolo toglie la speranza-.  Anche noi abbiamo diritto alla speranza, al futuro. Diritto di avere un calendario nella cella per contare i giorni e gli anni  che ci separano dalle nostre famiglie, dai nostri affetti, dal nostro futuro. Spero che voi possiate dare voce alla nostra speranza, perché non sia solo un inganno: c’è gente che ha la certezza di morire qui dentro, vogliamo almeno che la società lo sappia.”

 

di Nadia Bizzotto (ED. SEMPRE- Maggio 2009)