Carlo Saturno è un ragazzo di 22 anni che sta lottando tra la vita e la morte: ha tentato di suicidarsi nel carcere di Bari e ora è in coma irreversibile. A 16 anni è finito in carcere per furto, a Lecce, poi è stato trasferito nel penitenziario barese per adulti. Martedì scorso si sarebbe dovuto presentare al tribunale di Lecce come parte lesa in un processo per maltrattamenti. Nei mesi scorsi aveva avuto il coraggio di costituirsi parte civile contro 9 agenti di polizia penitenziaria accusati di abusi. I fatti risalgono al 2003, quando - secondo il pm - nell'istituto minorile leccese un gruppo di agenti avrebbe costruito una "squadretta" col compito di "governare l'istituto con la violenza".
Il Gup ha rinviato a giudizio i 9 poliziotti, ma
il processo è in fase di stagnazione. E Carlo non ne potrà vedere la fine. Ora
la Procura barese ha aperto un provvedimento per sapere cosa davvero è accaduto
in cella:la perizia eseguita dal medico legale ha stabilito che i segni intorno
al collo di Carlo sarebbero compatibili sia con un salto nel vuoto che con un
eventuale strangolamento da parte di altri.
Della storia di Carlo Saturno e della situazione dei penitenziari nel
nostro Paese abbiamo parlato con Patrizio Gonnella
(nella foto), presidente dell'associazione Antigone.
La storia di Carlo Saturno racconta la
situazione di estrema gravità del nostro sistema carcerario o dice anche
qualcosa di più?
Questa vicenda è terribile sotto tanti aspetti. Quando ha subito le
violenze che racconta, Carlo aveva solo 16 anni. Ha detto di essere stato
seviziato, torturato, e malgrado ciò ha deciso di costituirsi parte civile: una
cosa non comune, perché di norma i detenuti hanno paura di parlare, temono
conseguenze, ritorsioni. Tra l'altro a denunciare questi soprusi non sono solo
lui e altri carcerati, ma anche operatori che lavorano nel penitenziario di
Lecce. Martedì, giorno in cui si sarebbe dovuta tenere l'udienza per le violenze
perpetuate da questo gruppo di poliziotti rinviati a giudizio, il tribunale ha
rimandato il processo, superando il tempo di prescrizione. Un fatto di una
gravità estrema, che mette in discussione legalità, dignità della persona,
habeas corpus, Stato di diritto. Parliamo da anni
di processi brevi, prescrizioni brevi, occupandoci di colletti bianchi e di
leggi ad personam, ma la realtà è che la giustizia,
a chi non ha mezzi, non viene garantita. Spero che un'indagine chiarirà al più
presto l'eventuale legame del gesto di Carlo con la fine del processo per il
quale tanto si era battuto, resta comunque l'immensa gravità di una prescrizione
che lo uccide due volte. Sia chiaro: "Antigone" è garantista al massimo: i
poliziotti potevano anche essere del tutto innocenti, ma perché non saperlo?
Perché non celebrare quel processo? Possibile che in 8 anni non si sia arrivati
a sentenza?
Un problema di lentezza giudiziaria, quindi?
Peggio: a me pare che il sistema della giustizia sia ormai fallito del
tutto. O, perlomeno, presenti processi di serie A e di serie B, come
probabilmente veniva considerato quello per il quale Saturno si era costituito
parte civile. Questo ragazzo ora è in fin di vita: non celebrare quel processo
significa buttare via un'esistenza. Come si può pensare, di fronte a un atto
come questo, di avere ancora fiducia nella giustizia? Il caso di Carlo è
paradigmatico: nella sua storia non ha funzionato niente. È finito in carcere
quando era un ragazzino, per una storia di piccoli furti. Poi le violenze, il
silenzio, e il coraggio di credere, malgrado tutto, nello Stato. Perché il suo
costituirsi parte civile racconta esattamente questo: Carlo aveva fiducia nella
giustizia. Quella stessa giustizia che oggi gli gira le spalle, che fa cadere in
prescrizione il suo processo perché è passato troppo tempo.
Negli istituti
penitenziari italiani ci sono oggi 67.318 persone detenute, a fronte di una
disponibilità di posti pari a 45.059.
Qual è la situazione negli altri Paesi dell'Unione?
Pur rimanendo, il nostro, uno dei Paesi con il maggior numero di persone
detenute d'Europa, la situazione è variegata: ci sono casi paragonabili a quello
italiano (la Francia, ad esempio, ha problemi quasi quanto noi), poi ci sono i
Paesi scandinavi che stanno sperimentando pratiche più avanzate. La Norvegia, ad
esempio, sta adottando una nuova procedura che rappresenta a mio parere un
modello virtuoso da imitare. Si tratta della cosiddetta pratica delle "liste
d'attesa", che prevede, per i reati meno gravi, la possibilità di non finire in
carcere quando gli istituti penitenziari sono pieni, ma di..."attendere" il
proprio turno, ovviamente sulla base di una serie di normative molto ristrette e
rigide. È chiaro che questa pratica garantisce carceri più "umane", gestibili,
a misura di persona detenuta.
Ma come si spiega allora l'incremento "tutto
italiano" del numero di persone detenute in Italia?
Droga e immigrazione: siamo nel Paese europeo che più incarcera per reati
legati a questi due temi. Ciò accade perché su questi discorsi si è agito
ideologicamente e molto poco pragmaticamente. Sono stati trattati come
"materiale" sul quale costruire campagne elettorali, cercare consensi. Nessun
coinvolgimento di esperti, nessuna seria riflessione: si è andati avanti per
spot. I provvedimenti più recenti sulla droga e sull'immigrazione hanno fatto sì
che due carcerati su tre, oggi, siano dentro perché hanno a che fare con queste
leggi. Se si pensasse seriamente e definitivamente a un percorso serio di
depenalizzazione dei reati, torneremmo ad avere carceri "normali", controllate.
Anche perché il 42% delle persone detenute sono oggi in custodia cautelare, in
attesa di giudizio. I processi sono lentissimi, non arrivano mai a sentenza e la
custodia diventa la pena.
Qual è la situazione delle misure alternative?
Calma piatta: non esistono, ad oggi, vere misure alternative. E questo
accade perché ci sono divieti normativi (come la legge Cirielli che ha previsto
lo stop di tali misure per i recidivi) che negano alla maggioranza delle persone
detenute la possibilità di trovare un diverso modo di scontare la pena. A ciò si
aggiunge un aspetto che è ancora più grave: non ci sono risorse. Il terzo
settore, dall'associazionismo, al sociale, alle comunità terapeutiche, non ha
più un soldo. I finanziamenti sono stati chiusi: nessuno è in grado, a queste
condizioni, di accogliere persone per misure alternative. E così finiscono in
carcere, uno sull'altro.
Spesso Antigone parla dell'urgenza di un
"carcere trasparente": cosa significa questa espressione?
Significa che fatti come quello di Carlo Saturno devono uscire
dall'opacità penitenziaria. Significa che storie come la sua devono poter essere
osservabili e raccontabili all'esterno del carcere. "Carcere trasparente" vuol
dire far sì che l'istituzione non sia complice, ma custode della legalità
penitenziaria e ciò implica che l'istituzione debba essere disponibile a venire
osservata dall'esterno, perché l'osservazione già di per sé condiziona il
soggetto osservato. Non possiamo più permetterci di raccontare storie come
quella di Carlo Saturno, coraggiosa parte civile in un procedimento per fatti
che non si possono definire tortura solo a causa della mancanza di questo reato
nel nostro codice penale.
(Federica Grandis)