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Galleggiano ormai, e non solo nella stampa più consapevole delle contraddizioni atroci che la nostra società porta in grembo, segnali spesso confortanti, dell’esigenza di scoperchiare dure barriere psicologiche, di vedere e far vedere gli “invisibili”, quelli che la struttura sociale accantona in qualche modo, quelli che tutti noi accantoniamo nel momento in cui ci poniamo sotto la tutela di una legge “tranquillizzante”: “quelli che stanno dentro”, che “mettiamo dentro”, dai drogati agli spacciatori, dai delinquenti contro il patrimonio ai delinquenti contro la persona, fino alla vasta, imprecisa zona dei “delinquenti politici”.
Si può sognare un mondo senza carceri, un mondo in cui delinquere non sia più né un desiderio, né una motivazione, né un “vantaggio” per nessuno: ma è con questo mondo di oggi, con il qui e adesso che dobbiamo alla fin fine fare i conti e, senza sognare troppo, senza rifugiarsi nella comodità dell’utopia, chiederci se qualcosa per questo mondo segreto, per queste decine di migliaia di vite tagliate e «invisibili» sia possibile fare.
da L’Unità, 13 ottobre 1987