Reesom, le torture non bastano
per ottenere l'asilo politico
I pigri cliché della comunicazione sono più forti dei principi della Costituzione. Così, testardi come muli e ciechi come pipistrelli, innumerevoli giornali e televisioni continuano a definire in blocco "clandestini" gli immigrati che arrivano in Italia via mare. L'ultimo comma dell'articolo 10 della nostra carta fondamentale ("lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge") sembra essere stato abrogato dalle antenne e dalle rotative. Eppure sono ormai anni che associazioni umanitarie, singoli volenterosi, docenti di diritto e anche qualche maestro elementare (perché il concetto è alla portata di un bambino) spiegano che circa la metà del carico umano delle "carrette del mare" è costituito da persone che si trovano proprio nelle condizioni descritte dall'articolo 10. Definirli a priori "clandestini" è come chiamare "hooligans" tutti quelli che vanno allo stadio.
Ma va detto che i mezzi di comunicazione di massa non sono gli unici responsabili di questa quotidiana manifestazione di analfabetismo civile. A consolidare l'errore contribuiscono in modo determinante le modalità di attuazione del principio del diritto d'asilo. Il caso dell'eritreo Reesom ne è un esempio da manuale.
Bisogna sapere che esiste una via di mezzo tra la decisione di accordare l'asilo politico e quella di negarlo. Questa via di mezzo ha un nome soave: "protezione umanitaria". In pratica, se si ritiene che il richiedente non abbia subito una vera e propria "persecuzione individuale" ma che, comunque, sia impossibilitato a rientrare nel suo paese di origine, gli si dà questa protezione che si traduce in un permesso di soggiorno valido per un anno. Mentre chi ha avuto l'asilo può, per esempio, fare il ricongiungimento familiare, il titolare della protezione umanitaria vive in una specie di limbo, con l'incubo che, scaduto l'anno, lo stato ospitante decida di espellerlo.
Reesom vive questo incubo da fine settembre. Per convincere la commissione territoriale che era rimasto vittima di una "persecuzione individuale" non sono stati sufficienti i segni delle torture subite nel carcere eritreo da dove è entrato e uscito per anni, accusato di essere un oppositore politico, prima come studente universitario che organizzava manifestazioni contro il regime, poi come militare obbligato a un servizio di leva di cui non si conosce la fine. Non è bastato che dimostrasse d'essere un membro del partito di opposizione al regime, né il fatto che il suo fratello minore (altra pratica diffusa in Eritrea) sia stato arrestato per ritorsione alla sua fuga. Reesom, per agevolare i suoi esaminatori, aveva preparato un appunto dove illustrava nei dettagli le persecuzioni subite. Ma nel verbale della commissione per la concessione dell'asilo, compare solo metà del racconto. L'altra metà è rimasta nel notes di Reesom. Gli esaminatori non hanno ritenuto necessario ascoltarla. Ma hanno stabilito che le persecuzioni non potevano essere considerate "individuali" (evidentemente i segni di tortura erano stati provocati dall'aria di Asmara) e gli hanno accordato la "protezione umanitaria".
Se l'ovvio ricorso non sarà accolto, se ne riparlerà tra un anno. Non è escluso che qualche funzionario di polizia decida che Reesom può tornare a casa, gli neghi il rinnovo del permesso di soggiorno e lo trasformi in un vero e proprio "clandestino". O, in alternativa, se sarà espulso e riconsegnato ai suoi carnefici, in un cadavere.
(glialtrinoi@repubblica. it)