Un altro muro. E’ questo quello che Bush ha regalato ieri ai cittadini statunitensi che vivono al confine con il Messico. Dopo l’altisonante retorica di guerra e la “strategica” visione sulla politica estera illustrata due giorni fa, è la volta del fronte interno: la barriera di 1.226 chilometri lungo il confine sudovest degli Usa sarà eretta. Il presidente degli Stati Uniti ha firmato la legge, approvata di recente dal Congresso e assicurato che il muro servirà a «proteggere il popolo degli Stati Uniti e farà sì che le frontiere siano più sicure» e che leggi più rigorose sull’immigrazione saranno varate a breve. Bush sposta l’obiettivo sul fronte interno, ma continua a maneggiare l’arma della paura: in politica estera l’esistenza del nemico assoluto e perfetto, in quella interna il pericolo immigrazione. A nulla sono servite le numerose e ripetute richieste provenienti soprattutto dal Messico ma non solo: nelle ultime ore 27 paesi della regione hanno sottoscritto e presentato all’Organizzazione degli Stati americani (Osa) un documento per chiedere di fermare una «una misura unilaterale contraria allo spirito di comprensione che deve caratterizzare l’approccio ai problemi comuni tra Paesi vicini». Dopo aver approvato una delle leggi più contestate dalla società civile nordamericana negli ultimi anni, il presidente Usa ha annunciato il raddoppio degli attuali seimila agenti di frontiera entro il 2008. «La costruzione di muri non favorisce l’adeguata attenzione alla problematica migratoria né riconosce il contributo storico dei lavoratori migranti nei paesi di arrivo» hanno scritto tra l’altro i firmatari della dichiarazione proposta dal Messico, sottolineando che «nel trattare un fenomeno come la migrazione internazionale si deve tenere conto dei suoi molteplici aspetti per trarre il massimo profitto dai benefici e ridurre al minimo gli effetti negativi, sulla base del rispetto dei diritti umani».
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