Free cookie consent management tool by TermsFeed Policy Generator L'invenzione del «nemico interno» dopo il distacco dalla Jugoslavia, Il Manifesto, 26/11/06

L'invenzione del «nemico interno» dopo il distacco dalla Jugoslavia, Il Manifesto, 26/11/06

L'invenzione del «nemico interno» dopo il distacco dalla Jugoslavia


Intervista al poeta Boris A. Novak, che si batte per gli sloveni resi «invisibili», e in difesa dei rom
Hanno fatto scattare la molla del 'popolo minacciato', che portiamo nell'inconscio collettivo...

Ursula Lipovec Cebron
Lubiana Boris A. Novak, uno dei più noti poeti, pubblicisti e traduttori sloveni, è autore di oltre 60 opere tradotte in diverse lingue (La figlia della memoria, Incoronazione, Garden of silence, Il maestro dell'insonnia). Docente presso l'Università dl Lubiana, è uno degli intellettuali più impegnati in ambito politico e sociale - durante le guerre dei Balcani ha organizzato, tramite l'associazione internazionale di scrittori Pen, importanti iniziative umanitarie a favore dei profughi della ex-Jugoslavia e degli abitanti di Sarajevo assediata. Per anni si è battuto per i diritti dei «cancellati» ed è attualmente schierato in difesa dei rom deportati dal paese di Ambrus.
Come definiresti la cancellazione, e che conseguenze ha avuto?
La cancellazione riguarda almeno 30.000 cittadini che, nel '92, sono stati radiati dai registri di residenza permanente solo perché, nel periodo dell'indipendenza, non avevano presentato domanda per la cittadinanza slovena. E' un atto vergognoso che ha dato luogo a innumerevoli violazioni dei diritti umani. Nel corso degli anni il numero di cancellati è diminuito, dato che molti hanno dovuto lasciare la Slovenia, ma almeno 18.300 vivono ancora qui, e in gran parte sono tutt'ora senza documenti, senza diritti e senza protezione.
Il grosso dei cancellati non aveva richiesto la nazionalità slovena perché non erano stati informati, oppure avevano seri problemi a reperire i documenti necessari: si era all'inizio della guerra in Croazia e Bosnia-Herzegovina. Inoltre, credo che alcune di queste persone avessero serie difficoltà a decidere il da farsi: all'epoca si poteva pensare che la cosa meno rischiosa fosse mantenere il passaporto jugoslavo. È comprensibile, se si pensa che la maggioranza di loro aveva familiari in altre repubbliche dell'ex-stato comune jugoslavo.
La cosa inquietante è il fatto che l'atto della cancellazione sia avvenuto in modo segreto, di nascosto dal pubblico. Le persone venivano a sapere di essere state cancellate per caso, quando entravano in contatto con l'amministrazione statale e si vedevano distruggere i documenti personali.
Quali furono, a tuo avviso, le cause della cancellazione?
Credo che lo Stato sloveno, a quel tempo, volesse esercitare un controllo assoluto sui propri cittadini, demonizzando «gli altri». È indicativo il modo in cui venivano descritti i cancellati: traditori del popolo sloveno, sabotatori dello Stato sloveno e degli interessi della Slovenia... E' la creazione mostruosa del «nemico». La realtà di queste persone è la profonda amarezza per le violenze subite, soprattutto quelle sui iù vulnerabili: vecchi e bambini.
È chiaro che la cancellazione ha una valenza simbolica, legata al distacco dalla Jugoslavia, che ha fornito la base emotiva per le manipolazioni del governo. Nel 2004, poi, è scattata una dinamica nuova e assai pericolosa, connessa con l'ingresso della Slovenia nell'Unione europea. Credo che gli sloveni abbiano sperimentato - malgrado il sostegno maggioritario all'entrata nella Ue - una crisi identitaria e una forte incertezza sul proprio futuro nell'Unione. Alcuni politici razzisti hanno fatto scattare il registro del «popolo minacciato», che portiamo nell'inconscio collettivo a causa del nostro passato difficile. Per innescare questo meccanismo in assenza di minacce esterne, bisognava inventarsi un nemico interno: i cancellati, appunto.
Sono proliferati atti e decreti contrari alle basi elementari della civiltà, come il referendum indetto poco prima dell'ingresso della Slovenia nella Ue, nel quale si era chiamati a decidere se restituire o no ai cancellati i loro diritti. La maggioranza che decide il destino della minoranza: un principio alquanto discutibile sotto il profilo etico e giuridico. Molti sloveni boicottarono il referendum, ma la stragrande maggioranza dei votanti (il 33% dell'elettorato) si pronunciò contro i diritti dei cancellati. Benché il referendum non avesse conseguenze legali, ha rivelato la presenza di un preoccupante sentimento razzista.
Questo dato è riemerso nelle ultime settimane, quando un'intera famiglia di rom, cittadini sloveni, è stata deportata dal villaggio di Ambrus e trasferita dall'altra parte del paese, a Postumia. Una deportazione decisa dalla polizia di concerto con il governo di Janez Jansa. Va ricordato che lo stesso Jansa, al culmine della crisi con i cancellati, partecipava attivamente alle manifestazioni contro i rom. È chiaro che le forze al potere in Slovenia fomentano una politica xenofoba e razzista, anche se di fronte all'Europa ostentano un volto tollerante e aperto e si spacciano per grandi umanisti.
Si potrebbe leggere una continuità tra l'irrisolto problema della cancellazione - il grande scheletro nell'armadio della società slovena - e la crescente xenofobia verso i rom? La cancellazione come humus su cui attecchiscono le violazioni dei diritti delle minoranze?
Assolutamente sì. Se si fosse risolto il problema dei cancellati, oggi non assisteremmo probabilmente al vergognoso spettacolo degli abitanti dei villaggi delle regioni della Dolenjska e Notranjska (al sud e al sud-est della Slovenia) che si armano per cacciare i rom. Quello che sta accadendo è incompatibile con lo stato di diritto: gli abitanti bloccano le strade con i carri dei pompieri, si fanno riprendere dalle telecamere con i fucili da caccia imbracciati, o mentre minacciano i bambini rom con le seghe elettriche. Stiamo assistendo a un processo pericoloso di destrutturazione dello stato di diritto. La passività del governo porta alla luce i sentimenti ambivalenti delle forze politiche che lo sostengono, che fondano la loro popolarità su argomenti xenofobi.
Devo comunque sottolineare che questa situazione non è esclusiva responsabilità del governo attuale, apertamente razzista, ma è anche il risultato dell'inerzia dei governi di centro-sinistra che lo hanno preceduto. Tutti i partiti politici sono in qualche misura responsabili per non aver affrontato il problema del razzismo e della xenofobia.
L'atto di cacciare con le armi questa famiglia rom dalle case, dalla sua terra, è emblematico. Il governo pare cerchi di «risolvere» il problema dei rom con le deportazioni. Ma c'è anche il fatto senza precedenti dei comuni che si mobilitano per impedire l'arrivo dei rom nei loro territori...
La situazione è allarmante. Si stanno costituendo le cosidette «vaske strae» - gruppi di protezione dei villaggi - un'espressione con implicazioni storiche terrificanti. Il termine nasce durante la seconda guerra mondiale, nel periodo dell'occupazione italiana della Slovenia, quando il regime fascista aveva istituito la cosidetta Provincia di Lubiana. Le «vaske stra e» erano milizie armate contro partigiani e comunisti, da cui nacquero le organizzazioni ufficiali dei collaborazionisti sloveni che combatterono al fianco dei fascisti, e poi dei nazisti. Per questa evidente connotazione storica del termine «vaske stra e», sono molto preoccupato dell'uso che ne fanno gli abitanti dei villaggi che si mobilitano contro i rom.
Torniamo ai cancellati. Ti sei a lungo battuto per i loro diritti, organizzando un ampio sostegno del mondo della cultura, anche quando quasi nessuno voleva parlarne in pubblico. Hai mai avuto problemi per questo?
Per la verità, qualche problema l'ho avuto, dalle lettere di minaccia, alla distruzione della mia auto, all'aggressione fisica. Durante una trasmissione televisiva, dal pubblico gridavano che avrebbero bruciato i miei libri. Ma voglio sottolineare però anche il costante forte appoggio di poeti e poetesse. Abbiamo organizzato un reading di poesia per i diritti dei cancellati, che ha reso simbolicamente evidente che questa vergogna non ha nulla a che fare con la cultura slovena.
Domani parte la carovana dei cancellati. Da Lubiana, passando per Trieste, Monfalcone e Parigi arriverà al Parlamento europeo...
Dato che in Slovenia i cancellati non possono far valere i loro diritti, c'è un'unica via praticabile: l'internazionalizazzione del problema. In questo senso mi pare una cosa molto positiva, e necessaria, il ricorso presentato alla Corte Europea dei diritti umani, così come adesso l'iniziativa della carovana per cercare di coinvolgere il parlamento europeo. Di certo, al governo tutto questo non piace. Grideranno che gettate fango sull'imagine della Slovenia, che siete dei traditori... Fanno così tutte le volte che qualcuno si permette affermazioni critiche sulla Slovenia fuori dalle sue frontiere.