Lavori in Campania, precari e sottopagati
Anche se hanno da tempo il permesso di soggiorno, continuano a sentirsi ospiti di passaggio. Sono i lavoratori stranieri in Campania secondo l'indagine “La discriminazione nei confronti dei cittadini immigrati nel mondo del lavoro campano”. La ricerca, promossa dalla Regione, rivela che l'inserimento lavorativo degli stranieri avviene solo nei settori caratterizzati dalle “cinque P”: pesanti, pericolosi, precari, poco pagati, socialmente penalizzati di Gabriela Pentelescu
NAPOLI - Insicurezza e precarietà ritornano come un leit motiv nelle testimonianze dei lavoratori immigrati raccolte nella ricerca “La discriminazione nei confronti dei cittadini immigrati nel mondo del lavoro campano”, presentata in questi giorni a Napoli. L'indagine, promossa dalla Regione Campania, è stata realizzata dall'IPRS per il Polo contro la discriminazione. I risultati del sondaggio rilevano che, pur se in possesso da tempo di un titolo di soggiorno, gli stranieri si sentono ospiti transitori, esposti a comportamenti arbitrari e ingiusti, esclusi dalla protezione delle norme sociali e legali che regolano i rapporti, di lavoro e non solo. Anche perché l'inserimento lavorativo, a prescindere dal tasso d'istruzione, avviene solamente nei settori professionali caratterizzati dalle “cinque P”: pesanti, pericolosi, precari, poco pagati, penalizzati socialmente.
L'indagine è stata condotta attraverso interviste individuali a lavoratori immigrati e interviste a famiglie italiane che hanno collaboratori domestici di origine straniera. Si è focalizzata sul settore del lavoro domestico perché il principale canale d'inserimento lavorativo degli immigrati in Campania (e il 57% delle regolarizzazioni operate nel 2002) ha riguardato appunto i settori “assistenza” e “ servizi domestici”, a fronte di una media nazionale del 47%.
Gli intervistati hanno sottolineato che restare in regola con il permesso di soggiorno costituisce una fatica senza tregua. A questo problema si affianca quello di una burocrazia troppo lenta, che costringe gli immigrati a un'esistenza continuamente sospesa in attesa di un documento o di un nulla osta. Molto impegnati sul fonte della sopravvivenza (documenti, lavoro, casa), i cittadini stranieri non sembrano in grado di percepire fenomeni di discriminazione indiretta, i trattamenti differenziati che impediscono loro l'accesso alle risorse in condizioni di parità con gli italiani. Nei luoghi pubblici, si sentono esposti a molestie, discriminazioni dirette e offese, anche a sfondo razzista, che prendono le forme di clichés. Gli esempio sono moltissimi: dalle bevande versate dai baristi solo in bicchieri di plastica, a insulti e aggressioni per strada o sui mezzi pubblici, fino al negato accesso ai servizi bancari e finanziari.
Diverso, almeno in parte, è il quadro che emerge dal punto di vista delle famiglie campane che hanno alle loro dipendenze collaboratori domestici stranieri. Accanto a diffidenza e preoccupazione (5 famiglie su 10 temono che in futuro i rapporti tra italiani e immigrati peggiorino, 7 su 10 ritengono la presenza straniera numericamente eccessiva), emergono valutazioni positive sulle singole esperienze maturate con i domestici impiegati: 7 intervistati su 10 riconoscono di aver avuto un sensibile miglioramento della qualità di vita grazie al loro contributo. Un giudizio particolarmente indicativo se si considera che 8 famiglie su 10 impiegano i domestici immigrati per più di 20 ore settimanali, e riservano loro un alloggio presso la propria abitazione.
Tra famiglie e colf stranieri s'instaurano relazioni quotidiane a basso tasso di conflittualità: solo il 3,6 % dei rapporti è terminato per incomprensioni e conflitti. Nel complesso si manifestano sentimenti ambivalenti: apprezzamento nei confronti degli immigrati se ci si basa sull'esperienza concreta, diffidenza quando si esplora l'immaginario (più del 50% confida che potrebbe provare disagio ad avere un familiare o un vicino di casa proveniente da un altro Paese; e più del 40% sarebbe a disagio nel rapportarsi in ambito lavorativo con un superiore immigrato). L'immigrato in sintesi appare vicino e lontano, escluso e incluso al tempo stesso. Viene da fuori ma è ormai parte integrante del gruppo (a volte della famiglia); occupa nella comunità una posizione marginale ma positiva, che consiste nello svolgere una funzione che gli altri membri rifiutano.