Il primo maggio dello scorso anno lo sciopero dei lavoratori migranti indocumentados, che paralizzò alcune città degli Stati Uniti, colse molti osservatori di sorpresa.
Negli Stati Uniti il primo maggio non è la "festa dei lavoratori" come in Europa, e per chi voglia uscire dall’invisibilità per rivendicare i propri diritti l’unica possibilità è lo sciopero. Il paese più ricco del mondo è anche uno dei paesi dove povertà e disoccupazione si fanno ogni giorno più drammatici. A farne le spese comunità afroamericane e migranti. Soprattutto i latinos, per questo la parola d’ordine è in spagnolo: Sì, se puede!
Nel 2006 migliaia di persone scesero in piazza a manifestare in 200 città, scioperando dal lavoro e dagli acquisti. Le comunità migranti hanno dimostrato il loro peso e l’importanza del loro lavoro nell’economia statunitense. Lavoro spesso faticoso e malpagato. Lavoro senza diritti perché molti sono indocumentados (circa 12 milioni). Chiedevano una nuova legge sull’immigrazione e sanatoria generalizzata, diritti civili e sul lavoro, diritti di cittadinanza.
La manifestazione è stata annunciata anche per il prossimo primo maggio.
Non stupisce che la denuncia fatta dai migranti del nesso esistente tra il controllo della mobilità e lo sfruttamento del lavoro abbia scatenato negli Stati Uniti una feroce repressione, la stessa che ha colpito il sindacato degli IWW negli anni ’30 e il movimento di lotta per i diritti civili negli anni ’60. Ma le retate e la criminalizzazione subite dai migranti in questi mesi non possono fermare la consapevolezza di essere fondamentali per l’economia di un paese che si sente guida del mondo e, attraverso la guerra, esporta il proprio modello di democrazia. Una legge sull’immigrazione giusta e democratica è quanto chiedono gli indomentados.
Le organizzazioni dei migranti hanno organizzato proteste in almeno 6 città, tra cui Washington, e continuano il lavoro mai interrotto dallo scorso primo maggio: gruppi di informazione, manuali di tutela legale, manifestazioni per la regolarizzazione, come quella dello scorso aprile a Los Angeles.
Le richieste in occasione del 1 maggio sono: fine delle retate, possibilità di ricongiungimento familiare per i migranti, accesso ai servizi sociali, fine della militarizzazione della frontiera e delle morti per attraversarla. Per i 12 milioni di migranti senza documenti le condizioni di lavoro sono simili alla schiavitù, senza diritti, discriminati, vittime di razzismo e colpiti da repressione quando chiedono un miglioramento della condizione di lavoro e di vita.
In alcune città anche gli studenti invitano allo sciopero e a partecipare alle manifestazioni dei migranti, per affermare il diritto all’istruzione per tutti.
Ma l’unico pensiero del presidente Bush in materia di immigrazione sembra essere come fermarla.
Il 26 ottobre 2007 è stato dato il via libera alla costruzione di un muro 700 miglia (circa 1.126 chilometri, pari a un terzo della frontiera) tra Stati Uniti dal Messico. Il “muro della vergogna” rafforzerà il controllo della frontiera fra Stati Uniti e Sud America, frontiera che sta facendo centinaia di morti.
Il numero delle morti tra le persone che attraversano la frontiera tra gli Stati uniti e il Messico si è duplicata negli ultimi sei anni. Negli anni compresi tra il 1999 e il 2005 i decessi sono saliti da 241 a 472, la maggior parte nella zona desertica di Tucson in Arizona. Il numero dei decessi a causa del caldo ha superato il numero di quelli causati dagli incidenti durante il passaggio della frontiera.
E non sono solo il caldo e la mancanza di cibo a uccidere: lo scorso febbraio alcune persone sono morte uccise da banditi o miliziani privati a guardia della frontiera.
Ma questa guerra ai migranti, la retorica di sicurezza scatenata sulla loro pelle, non può celare il fatto dei 12 o più milioni di migranti non si può fare a meno.
E domani marceranno per i loro diritti.
Elisabetta Ferri, Progetto Melting Pot