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di G.Santoro, Associazione Antigone
Il
Tribunale di Lucca nei mesi scorsi ha dichiarato ‘il non luogo a procedere’
perché ‘il fatto non è previsto dalla legge come reato’ nei confronti di un imputato
che deteneva 25 piantine di marijuana. Nelle
motivazioni il Giudice riprende quanto affermato
dalla VI sezione della Corte di Cassazione che, con la sentenza del 10 maggio
scorso, ha annullato la decisione della Corte di Appello di Roma (confermativa
di quella del Tribunale locale) la quale aveva condannato un giovane per aver
coltivato nel proprio fondo cinque piante di marijuana. Una linea interpretativa che era stata inaugurata
sempre dalla VI sezione della Suprema Corte nel 1994, quando si ebbe a
distinguere la coltivazione in senso tecnico, un procedimento che presuppone la
disponibilità di un terreno e di una serie di attività (ad es., preparazione
del terreno, semina, governo dello sviluppo delle piante, ubicazione di locali
destinati alla custodia del prodotto), dalla detenzione per uso personale.
Dunque, hanno precisato gli Ermellini, la decisione del 1994 ebbe il merito
"di tracciare un margine ineludibile tra detenzione e coltivazione in
senso tecnico, non potendo ricomprendersi in tale ultima nozione,
giuridicamente definita, la cosiddetta coltivazione domestica”. Allo stesso
modo il Giudice di Lucca distingue l’illecito penale della “attività di
coltivazione in senso tecnico”, cioè quella che si appresti ad una produzione
per il mercato, dall’illecito amministrativo della “coltivazione domestica”, quella
di modeste dimensioni quantitative che non è giuridicamente ricompresa nel
concetto di coltivazione in senso tecnico, inquadrabile piuttosto “nella
nozione di detenzione interpretata estensivamente”. A supporto della tesi
dell’uso domestico, spiegano gli avvocati difensori Mario Angelelli, Arturo
Salerni e Luca Santini, vi era la circostanza che nell’abitazione
dell’interessato, oltre le 25 piantine, erano stati rinvenuti pochi grammi di
sostanza stupefacente e che, la stessa, non era destinata a terzi in quanto non
si presentava confezionata o ripartita
in dosi, né tanto meno erano stati rinvenuti strumenti idonei alla coltivazione
intensiva.
Di segno opposto la tesi prospettata dalla IV sezione penale della
Cassazione secondo la quale è da perseguire penalmente la coltivazione anche di una
sola piantina di marijuana, indipendentemente dalle sue caratteristiche
droganti. Urge dunque un intervento delle Sezioni Unite per evitare prassi
difformi non solo tra i diversi tribunali competenti di primo e secondo grado
ma anche a seconda del fatto che l’eventuale giudizio di Cassazione venga
affidato alla IV o VI sezione. D’altra parte le Sezioni Unite hanno già avuto
modo, sempre nel 2007, di sposare la tesi della VI sezione in merito
all’irrilevanza penale della coltivazione domestica, ma il caso di specie
riguardava l’uso ornamentale di piantine di marijuana.