31 morti lungo le coste del Sahara, uno in Grecia e 69 in Algeria; 5.742 le vittime dell’immigrazione clandestina dal 1988. Intanto Tripoli ospita la conferenza euroafricana, ma un nuovo rapporto accusa Qaddafi di abusi e torture sui migranti detenuti
Esilio e zodiac. "Esiste una responsabilità diretta del governo marocchino nel naufragio delle due pateras". Trentuno giovani saharawi sono annegati nell’ultima settimana di ottobre a una ventina di chilometri da Boujdour, nel Sahara occidentale, e l’ong spagnola Comisión Española de Ayuda al Refugiado (Cear) accusa Rabat. Secondo testimonianze raccolte da Cear “in molti casi le forze di polizia marocchine istigano i giovani attivisti a partire". Tra le vittime anche Naji Dohatem, classe 1976, da anni impegnato nella lotta per i diritti umani e per l’indipendenza dei territori del Sahara, occupati dal Marocco dal 16 ottobre 1975. A giugno su uno zodiac battente bandiera del Sahara e diretto a Las Palmas, viaggiava tra i 41 giovani saharawi Buchara Nafá, militante liberato a marzo 2006 dopo 10 mesi di prigione a Laayoun. Secondo un comunicato del Polisario più di 500 giovani sono stati costretti all’esilio dopo l’inizio dell’intifada nel maggio 2005, a causa delle minacce e delle torture in carcere praticate arbitrariamente dalle forze di sicurezza marocchine. Non solo. "Gli ufficiali della Gendarmerie – continua il comunicato - hanno patti con i passeurs, che ricevono quantità sostanziose di denaro per ogni emigrante saharawi che lascia il Paese".
La patata bollente. Ma il Marocco è anche la rotta dei migranti subsahariani diretti a Ceuta e Melilla o a Laayoun. Nell’ultimo tentativo di saltare la barriera di Melilla uno dei 20 migranti fermati è stato colpito alla gamba da un proiettile delle forze ausiliarie marocchine. Intanto in tutto il Paese continuano le deportazioni alle frontiera di Oujda, persino dei rifugiati politici, nell’indifferenza dell’ufficio Unhcr di Rabat. La maggior parte di questi ritornano la notte stessa in città, spesso dopo essere stati “rapinati” dalla polizia algerina, denuncia a Fortress Europe un richiedente asilo nigeriano a Oujda. Quando invece va peggio il refoulement continua fino in Mali o in Niger. Nei primi 8 mesi del 2006 Algeri ha espulso 457 cittadini, perlopiu’ maliani, nigeriani e camerunesi, ma anche indiani, pakistani e bangladeshi, pionieri delle nuove rotte che dall’Asia attraversano l’Africa verso l’Europa, via Mali e Algeria. Dal 2002 al 2005 sono stati deportati 2.332 migranti. Molti sono ancora bloccati alla frontiera con il Mali, nella piccola città di Tinzawatin, meglio nota tra gli avventurieri subsahariani come la “città dove dio non esiste”. Scesi da un camion militare in pantaloni, ciabatte e camicie, le tasche trafugate dai gendarmi algerini, non c’è un solo telefono per chiamare la famiglia, nè un’agenzia Western union per farsi inviare il denaro per ritornare. Intorno solo il Sahara. La prima città in Mali, Kalil, è a 500 km di sole e deserto. Tamanghasset, in Algeria, non è più vicina. Ogni tanto qualcuno parte a piedi, una tanica d’acqua di cinque litri e un pacchetto di biscotti. I piu’ fortunati sono aiutati dai tuareg lungo la pista, i corpi degli altri costeggiano il cammino, sotto un leggero strato di sabbia. Gli altri, almeno 500 persone secondo una fonte informata, sono semplicemente bloccati a Tinzawatin. Alcuni muoiono per malattie, altri perdono la ragione, altri ancora semplicemente aspettano.
Algeri dà i numeri. Non lontano dalla zona, a Illizi, dal 24 al 30 novembre, si è tenuta una settimana formativa per gli agenti algerini, condotta da due esperti della polizia francese. Per l’occasione Algeri ha dato i numeri dei primi 10 mesi del 2006: 42 morti e 27 dispersi al largo della costa occidentale del Paese, salpati alla volta della Spagna. Nello stesso periodo 388 persone sarebbero state “salvate da morte sicura” dalla Marina. Di questi 373 erano algerini e 11 marocchini.
I gendarmi dell'Europa. Sulla lista dei gendarmi dell’Europa, al pari di Marocco, Algeria, Mauritania e Senegal, compare la Libia di Qaddafi. Una nota del 6 novembre dell’agenzia di stato Jamahiriya News, informa che tra il 22 e il 31 ottobre 708 candidati alla migrazione clandestina sono stati arrestati e altri 1.213 deportati. Due settimane dopo, il 22 novembre, si è aperta a Tripoli la Conferenza euroafricana sull’immigrazione. Due giorni per approvare l’erogazione di un fondo euroafricano ad hoc, proporre la gestione europea delle quote d’ingresso, e celebrare la retorica della condanna del traffico di esseri umani. Lo stesso giorno a Casablanca veniva presentato il rapporto sulle condizioni dei migranti nelle carceri libiche dell’Associazione degli amici e familiari delle vittime dell’immigrazione clandestina (Afvic).
Dietro le sbarre. Centosessanta racconti di cittadini marocchini arrestati in modo arbitrario e detenuti senza processo e senza una pena certa. Denunciano la pratica sistematica della tortura, uccisioni di detenuti “ribelli”, maltrattamenti e lavori forzati, sovraffollamento, scarse condizioni igieniche e malnutrizione. A casa sono tornati grazie alle famiglie, che hanno comprato loro il biglietto aereo di ritorno. Altri 60 genitori non sanno niente dei figli dopo il loro arrivo in Libia. Forse uccisi, forse in cella, isolati dal resto del mondo dopo il sequestro di soldi e telefono da parte delle guardie. E’ la storia di una famiglia di Khouribga, profondo Marocco. Nel 2003 il funerale del figlio dato morto. Una settimana fa una telefonata da Tripoli: è risorto, si trova nel carcere di al-Fallah, non lontano dalla sede dei lavori della due giorni euroafricana, 35 mesi di detenzione e nessun reato penale.
Fruttuosa collaborazione. Il rapporto di Afvic segue di poco le analoghe denunce pubblicate da Human Rights Watch (Hrw) a settembre. Ciononostante l’Europa continua a guardare a Tripoli con interesse. Bruxelles ha recentemente assegnato 3 milioni di euro per il controllo delle frontiere libiche e il ministro degli esteri italiano Massimo D’Alema augura ''un'intensa e fruttuosa collaborazione'' con Qaddafi. Forse si riferisce a tre delle carceri accusate, quelle di Kufrah, Sebha e Gharyan, che l’Italia finanzia dal 2003. Roma pensa cosi’ di arrestare gli imbarchi verso la Sicilia, ormai monopolio dai passeurs di Zuwarah, in Libia. Ventimila gli arrivi dei primi dieci mesi del 2006. Non molti rispetto ai 30mila ingressi per lavoro stagionale del 2006, ai 170mila del decreto flussi e ai 350mila del decreto flussi bis dello scorso luglio. Ottomila sono marocchini - dichiara il ministro dell’interno Giuliano Amato - e 2.500 eritrei, questi ultimi in fuga dalla coscrizione militare imposta da Asmara nella pace armata con la vicina Etiopia.
Sacchi di patate. Anche i 20 somali e palestinesi sopravvissuti al naufragio del 19 novembre al largo di Izmir, in Turchia, fuggivano dal proprio Paese. Uno di loro è annegato. La frontiera Grecia-Turchia continua a scottare. Nei primi nove mesi del 2006 Atene ha arrestato 23mila migranti senza permesso di soggiorno. Più della metà – 13mila – avevano tentato di entrare dal confine turco nascosti nei camion. Un camionista aveva addirittura creato un vano apposito nel rimorchio, che copriva con un carico di sacchi di patate per passare i controlli. Ma la strada non è meno rischiosa del tragitto via mare. Soffocati, o schiacciati dal peso delle merci in incidenti stradali, almeno 231 passeggeri clandestini hanno perso la vita. Il loro numero si aggiunge alla memoria delle 5.742 vittime della frontiera censite al 30 novembre 2006 da Fortress Europe
Esilio e zodiac. "Esiste una responsabilità diretta del governo marocchino nel naufragio delle due pateras". Trentuno giovani saharawi sono annegati nell’ultima settimana di ottobre a una ventina di chilometri da Boujdour, nel Sahara occidentale, e l’ong spagnola Comisión Española de Ayuda al Refugiado (Cear) accusa Rabat. Secondo testimonianze raccolte da Cear “in molti casi le forze di polizia marocchine istigano i giovani attivisti a partire". Tra le vittime anche Naji Dohatem, classe 1976, da anni impegnato nella lotta per i diritti umani e per l’indipendenza dei territori del Sahara, occupati dal Marocco dal 16 ottobre 1975. A giugno su uno zodiac battente bandiera del Sahara e diretto a Las Palmas, viaggiava tra i 41 giovani saharawi Buchara Nafá, militante liberato a marzo 2006 dopo 10 mesi di prigione a Laayoun. Secondo un comunicato del Polisario più di 500 giovani sono stati costretti all’esilio dopo l’inizio dell’intifada nel maggio 2005, a causa delle minacce e delle torture in carcere praticate arbitrariamente dalle forze di sicurezza marocchine. Non solo. "Gli ufficiali della Gendarmerie – continua il comunicato - hanno patti con i passeurs, che ricevono quantità sostanziose di denaro per ogni emigrante saharawi che lascia il Paese".
La patata bollente. Ma il Marocco è anche la rotta dei migranti subsahariani diretti a Ceuta e Melilla o a Laayoun. Nell’ultimo tentativo di saltare la barriera di Melilla uno dei 20 migranti fermati è stato colpito alla gamba da un proiettile delle forze ausiliarie marocchine. Intanto in tutto il Paese continuano le deportazioni alle frontiera di Oujda, persino dei rifugiati politici, nell’indifferenza dell’ufficio Unhcr di Rabat. La maggior parte di questi ritornano la notte stessa in città, spesso dopo essere stati “rapinati” dalla polizia algerina, denuncia a Fortress Europe un richiedente asilo nigeriano a Oujda. Quando invece va peggio il refoulement continua fino in Mali o in Niger. Nei primi 8 mesi del 2006 Algeri ha espulso 457 cittadini, perlopiu’ maliani, nigeriani e camerunesi, ma anche indiani, pakistani e bangladeshi, pionieri delle nuove rotte che dall’Asia attraversano l’Africa verso l’Europa, via Mali e Algeria. Dal 2002 al 2005 sono stati deportati 2.332 migranti. Molti sono ancora bloccati alla frontiera con il Mali, nella piccola città di Tinzawatin, meglio nota tra gli avventurieri subsahariani come la “città dove dio non esiste”. Scesi da un camion militare in pantaloni, ciabatte e camicie, le tasche trafugate dai gendarmi algerini, non c’è un solo telefono per chiamare la famiglia, nè un’agenzia Western union per farsi inviare il denaro per ritornare. Intorno solo il Sahara. La prima città in Mali, Kalil, è a 500 km di sole e deserto. Tamanghasset, in Algeria, non è più vicina. Ogni tanto qualcuno parte a piedi, una tanica d’acqua di cinque litri e un pacchetto di biscotti. I piu’ fortunati sono aiutati dai tuareg lungo la pista, i corpi degli altri costeggiano il cammino, sotto un leggero strato di sabbia. Gli altri, almeno 500 persone secondo una fonte informata, sono semplicemente bloccati a Tinzawatin. Alcuni muoiono per malattie, altri perdono la ragione, altri ancora semplicemente aspettano.
Algeri dà i numeri. Non lontano dalla zona, a Illizi, dal 24 al 30 novembre, si è tenuta una settimana formativa per gli agenti algerini, condotta da due esperti della polizia francese. Per l’occasione Algeri ha dato i numeri dei primi 10 mesi del 2006: 42 morti e 27 dispersi al largo della costa occidentale del Paese, salpati alla volta della Spagna. Nello stesso periodo 388 persone sarebbero state “salvate da morte sicura” dalla Marina. Di questi 373 erano algerini e 11 marocchini.
I gendarmi dell'Europa. Sulla lista dei gendarmi dell’Europa, al pari di Marocco, Algeria, Mauritania e Senegal, compare la Libia di Qaddafi. Una nota del 6 novembre dell’agenzia di stato Jamahiriya News, informa che tra il 22 e il 31 ottobre 708 candidati alla migrazione clandestina sono stati arrestati e altri 1.213 deportati. Due settimane dopo, il 22 novembre, si è aperta a Tripoli la Conferenza euroafricana sull’immigrazione. Due giorni per approvare l’erogazione di un fondo euroafricano ad hoc, proporre la gestione europea delle quote d’ingresso, e celebrare la retorica della condanna del traffico di esseri umani. Lo stesso giorno a Casablanca veniva presentato il rapporto sulle condizioni dei migranti nelle carceri libiche dell’Associazione degli amici e familiari delle vittime dell’immigrazione clandestina (Afvic).
Dietro le sbarre. Centosessanta racconti di cittadini marocchini arrestati in modo arbitrario e detenuti senza processo e senza una pena certa. Denunciano la pratica sistematica della tortura, uccisioni di detenuti “ribelli”, maltrattamenti e lavori forzati, sovraffollamento, scarse condizioni igieniche e malnutrizione. A casa sono tornati grazie alle famiglie, che hanno comprato loro il biglietto aereo di ritorno. Altri 60 genitori non sanno niente dei figli dopo il loro arrivo in Libia. Forse uccisi, forse in cella, isolati dal resto del mondo dopo il sequestro di soldi e telefono da parte delle guardie. E’ la storia di una famiglia di Khouribga, profondo Marocco. Nel 2003 il funerale del figlio dato morto. Una settimana fa una telefonata da Tripoli: è risorto, si trova nel carcere di al-Fallah, non lontano dalla sede dei lavori della due giorni euroafricana, 35 mesi di detenzione e nessun reato penale.
Fruttuosa collaborazione. Il rapporto di Afvic segue di poco le analoghe denunce pubblicate da Human Rights Watch (Hrw) a settembre. Ciononostante l’Europa continua a guardare a Tripoli con interesse. Bruxelles ha recentemente assegnato 3 milioni di euro per il controllo delle frontiere libiche e il ministro degli esteri italiano Massimo D’Alema augura ''un'intensa e fruttuosa collaborazione'' con Qaddafi. Forse si riferisce a tre delle carceri accusate, quelle di Kufrah, Sebha e Gharyan, che l’Italia finanzia dal 2003. Roma pensa cosi’ di arrestare gli imbarchi verso la Sicilia, ormai monopolio dai passeurs di Zuwarah, in Libia. Ventimila gli arrivi dei primi dieci mesi del 2006. Non molti rispetto ai 30mila ingressi per lavoro stagionale del 2006, ai 170mila del decreto flussi e ai 350mila del decreto flussi bis dello scorso luglio. Ottomila sono marocchini - dichiara il ministro dell’interno Giuliano Amato - e 2.500 eritrei, questi ultimi in fuga dalla coscrizione militare imposta da Asmara nella pace armata con la vicina Etiopia.
Sacchi di patate. Anche i 20 somali e palestinesi sopravvissuti al naufragio del 19 novembre al largo di Izmir, in Turchia, fuggivano dal proprio Paese. Uno di loro è annegato. La frontiera Grecia-Turchia continua a scottare. Nei primi nove mesi del 2006 Atene ha arrestato 23mila migranti senza permesso di soggiorno. Più della metà – 13mila – avevano tentato di entrare dal confine turco nascosti nei camion. Un camionista aveva addirittura creato un vano apposito nel rimorchio, che copriva con un carico di sacchi di patate per passare i controlli. Ma la strada non è meno rischiosa del tragitto via mare. Soffocati, o schiacciati dal peso delle merci in incidenti stradali, almeno 231 passeggeri clandestini hanno perso la vita. Il loro numero si aggiunge alla memoria delle 5.742 vittime della frontiera censite al 30 novembre 2006 da Fortress Europe
Fortress Europe
a cura di Gabriele Del Grande
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