DIRITTI UMANI
Se ne è parlato in un incontro promosso da 360°Sud, Amnesty International e Traduttori per la Pace
Luci e ombre dell’impegno italiano per i diritti umani
Presentato il libro di Antonio Marchesi “Diritti umani e Nazioni Unite. Diritti,obblighi e garanzie”
ROMA – Italia , ‘sorvegliata speciale’ dalle organizzazioni che si occupano di diritti umani. E che registrano contraddizioni nell’impegno del nostro Paese in questo ambito.
Luci e ombre. Forse più ombre che luci, per dirla con le parole di Riccardo Noury, portavoce della sezione Italiana di Amnesty International, intervenuto a un incontro nella libreria di Roma ‘360°Sud’. All’incontro - organizzato da Consorzio 360° Sud, Gruppo Italia 105 di Amnesty e dall’associazione Traduttori per la Pace – hanno preso parte anche Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, nonché presidente onorario dell’associazione Antigone; Andrea Spila, vice presidente di Traduttori per la Pace; Antonio Marchesi, docente di diritto internazionale all’Università di Teramo.
Occasione, l’uscita del libro di Marchesi “Diritti umani e Nazioni Unite. Diritti,obblighi e garanzie” (Franco Angeli editore). Antonio Marchesi fa parte dell’Osservatorio nazionale sulle carceri di Antigone, è stato presidente della sezione Italiana di Amnesty e collabora tuttora con il segretariato generale dell’organizzazione, nonché con diverse organizzazioni internazionali non governative e intergovernative. Il volume appena pubblicato, da una parte vuole essere strumento utile all’insegnamento della protezione internazionale dei diritti umani; dall’altra, per stessa ammissione dell’autore, ha “l’ambizione di andare oltre la pura e semplice descrizione a fini informativi o didattici, per proporre una o più chiavi di lettura dell’attuale fase di sviluppo del diritto internazionale dei diritti umani”.
Un libro per addetti ai lavori, ma utile anche sul piano divulgativo,come ha osservato Andrea Spila, nell’incontro introdotto da Federica Fioretti di 360°Sud. Andrea Spila nel ruolo delle Nazioni Unite ripone fiducia - “ci credo molto” - e non condivide gli “atteggiamenti ambigui” quando non addirittura “denigratori” di “molti attivisti del movimento della pace” nei riguardi dell’Onu.
Il cui ruolo, oggi “visto più come entità di Stati che di popoli” e “bloccato dai veti di alcuni Paesi”, andrebbe rilanciato come “governo del mondo”, ha detto Vincenzo Pira, dell’Agenzia Onu Unops, che era fra il pubblico, alla presentazione del libro di Marchesi.
Un volume che esce a dieci anni da un’altra sua pubblicazione (“I diritti dell’uomo e le Nazioni Unite. Controllo internazionale e attività statali di organi internazionali”) e che illustra con quali modalità, risultati, limiti, potenzialità, i diritti umani sono entrati a far parte del sistema giuridico della comunità internazionale.
E in Italia? Luci e ombre si diceva. Secondo Marchesi, in generale, all’Italia manca “la cultura politica dei diritti umani” e una “educazione”, che dovrebbe cominciare già nelle scuole. Forse è radicata l’erronea convinzione che “il problema dei diritti umani riguardi Stati meno sviluppati del nostro” .
Forti contraddizioni nell’impegno italiano. Da un lato, come ricordato da Noury e Marchesi - il recentissimo successo dell’Italia per quanto riguarda l’iniziativa di moratoria della pena di morte, votata dalle Nazioni Unite. Dall’altro, il nostro Paese non si è ancora dotato di una norma che preveda il reato specifico di tortura. Eppure nel lontano 1987 aveva ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura… Per ironia della sorte, la discussione della proposta di legge, ferma da tempo al Senato, era stata calendarizzata per giovedì 24 gennaio, giorno in cui in Aula si decideranno le sorti del governo guidato da Prodi.
Luci e ombre. Nel 1998 l’Italia del primo governo Prodi ospitò la Conferenza internazionale che adottò lo statuto della Corte penale internazionale. Dieci anni dopo l’Italia non ha ancora posto rimedio alla situazione che la vede, quasi unica in Europa, a non avere norme statali di attuazione dello statuto di Roma. Ancora: nel 2005, l’Italia respinse pubblicamente la tesi britannica che riteneva sufficienti le ‘assicurazioni diplomatiche’ quale condizione per espellere persone verso Stati in cui è diffusa la tortura; nel 2007, di fronte a un ricorso contro la stessa Italia davanti alla Corte di Strasburgo, il nostro Paese “ha cambiato idea sostenendo la tesi contraria”, hanno detto Marchesi e Noury. Che osservano anche con preoccupazione la “timidezza” dell’Italia nell’affrontare la questione dei diritti umani in Cina, colosso con il quale il nostro Paese cerca di stringere sempre più rapporti. Indice accusatore di Noury su Prodi che “ha fatto di tutto per far togliere l’embargo delle armi”. Amnesty ha tra l’altro promosso una campagna per chiedere alla Cina l’adozione e l’attuazione di riforme nel campo dei diritti umani, in occasione delle Olimpiadi di Pechino 2008.
Sia Noury che Marchesi hanno inoltre segnalato “l’ambiguità, e non da oggi, dei rapporti tra Italia e Libia”. Il nostro Paese ha stipulato accordi con il governo libico i cui contenuti “sono sconosciuti” o “non sono stati resi noti in modo esauriente” .
Ed è proprio di questi giorni l’allarme rosso di diverse organizzazioni, tra cui Cir e Amnesty, dopo l’annuncio del governo libico di voler espellere “senza eccezioni” (così è detto in una nota del governo) gli immigrati irregolari (v. Inform n. 16 del 22 gennaio http://www.mclink.it/com/inform/art/08n01630.htm ). Si prefigura una “deportazione di massa”, ha rimarcato Noury. Una “deportazione” della quale saranno vittime anche numerosi richiedenti asilo e rifugiati, provenienti in maggioranza dal Corno d'Africa, donne e minori. Amnesty e le altre organizzazioni chiedono che l’Italia sospenda gli accordi con la Libia in materia di immigrazione, e riveda la sua partecipazione al programma Frontex.
La Libia è un Paese che, tra l’altro – ha ricordato Noury - non hai mai ratificato la Convenzione di Ginevra sui i rifugiati e viola il principio di ‘non-refoulement’ che stabilisce che i rifugiati non possono essere rimpatriati in un Paese dove corrono rischi di persecuzione.
Sulle “ambiguità” dei governi italiani nelle relazioni con la Libia si è espresso anche Mauro Palma a capo di un organismo indipendente di controllo che ha compito di prevenzione (del Comitato europeo per la prevenzione della tortura sono stati pubblicati ,in italiano, i rapporti 2004 e 2006 sulle istituzioni italiane: v. articolo Inform su n.13 del 17 gennaio http://www.mclink.it/com/inform/art/08n01301.htm) . Ma un organismo che, proprio per la sua natura, deve tenere continui contatti con le autorità nazionali. Vigile ma anche dialogante con i governi, il Comitato si “infila negli interstizi positivi per produrre cambiamenti” . E solo in condizioni estreme può rompere il vincolo di segretezza e rendere una dichiarazione pubblica. Con l’Italia ci si è andati vicini nel 2004, ha raccontato Palma, quando il governo Berlusconi rinviò in Libia 1728 persone in sei giorni. Una espulsione collettiva. Il Comitato è un organismo dialogante. Ma dipende anche dall’interlocutore. Per quanto riguarda il vincolo delle procedure di espulsione Palma ha affermato che il dialogo del Comitato con il ministro Amato è stato diverso, in senso positivo, rispetto a quello che ci fu con il ministro Pisanu e il commissario europeo Frattini, al tempo dell’esecutivo Berlusconi.
In Italia, comunque, si continuano a osservare tempi lunghissimi per l’adozione di strumenti di garanzia dei diritti fondamentali delle persone, che, ha puntualizzato Palma, “vanno tutelate indipendentemente dal fatto che possano aver commesso reati, anche gravi”.
Italia dei ritardi. Ritardi che discendono da motivazioni prima di tutto culturali, come “non conoscenza, palese e allarmante, dei meccanismi istituzionali; sfiducia negli strumenti del diritto internazionale per i diritti umani e nei meccanismi di controllo; tendenza a pensare che sia efficace solo ciò che è sanzionatorio”.
Se il nostro Paese sconta ritardi di ordine legislativo è dovuto a ragioni prima di tutto culturali. Siamo gli unici? Quest’anno cade il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani . Trenta articoli. In quanti li avranno letti? Basti la testimonianza di una religiosa, docente in due Università pontificie, che al termine dell’incontro ha raccontato come tra i suoi 150 studenti, provenienti dall'Italia e dall'estero, solo tre abbiano letto la Dichiarazione. Solo tre. E non sono italiani. (Simonetta Pitari-Inform)