Mentre in Italia si discute ancora sulla riforma della legge Bossi – Fini che resta in vigore, e che probabilmente resterà in vigore ancora per anni, a fronte dei tempi del disegno di legge delega sull’immigrazione, il nostro ministro degli esteri è andato in Libia alla chetichella per concordare con Gheddafi le modalità operative del blocco in mare delle imbarcazioni cariche di migranti provenienti dalla Libia e, probabilmente, per confermare il supporto finanziario dell’Italia alle deportazioni che la Libia effettua, anche ai danni di potenziali richiedenti asilo, verso paesi che non garantiscono alcun rispetto per la dignità umana ed i diritti fondamentali della persona.
Forse il Ministro D’Alema non ricorda che la Libia non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra per i rifugiati, che non riconosce in alcun modo il diritto di asilo, che incarcera brutalmente anche donne e minori migranti, che sfrutta come schiavi centinaia di migliaia di migranti, che Gheddafi prima ha attratto ai tempi dell’embargo e che oggi sfrutta come merce di scambio nei confronti dei paesi europei. In questo modo il governo Prodi si muove in perfetta continuità con il precedente governo Berlusconi, che pure era stato costretto, proprio negli ultimi giorni della passata legislatura, a sospendere i voli diretti di rimpatrio dall’Italia verso la Libia, anche a seguito delle denunce del movimento antirazzista e delle successive condanne del parlamento Europeo e delle principali agenzie umanitarie come Human Rights Watch ed Amnesty International.
E’ ormai fallito il sistema di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione Europea delineato dagli accordi di Schengen e di Dublino. La politica di sbarramento delle frontiere marittime attuata con l’Agenzia europea FRONTEX non frena certo l’immigrazione clandestina, ma ne modifica le rotte, costringendo all’utilizzo di imbarcazioni sempre più piccole, e finendo con accrescere ulteriormente i guadagni dei trafficanti ed il numero delle vittime della Fortezza Europa. La crescente militarizzazione del Mediterraneo allontana le prospettive di pace e di collaborazione tra i paesi rivieraschi aperte nel 1995 con la dichiarazione di Barcellona. L’unico obiettivo comune effettivamente perseguito dai paesi membri dell’Unione europea in materia di immigrazione sembra consistere nell’espulsione o nel respingimento del maggior numero di immigrati. Ma anche in questo campo i diversi stati mantengono prassi assai discrezionali e dunque diverse a seconda dei porti di ingresso e di transito. L’arbitrio di polizia prevale ovunque sulla tutela dei diritti fondamentali della persona.
Da Bari e da Brindisi, come dai porti spagnoli e greci, malgrado le rassicuranti proposte di legge del nuovo governo, si perpetuano le vecchie pratiche di polizia e si diffondono i casi di respingimento in frontiera dei minori non accompagnati, molti provenienti dall’Afghanistan, ai quali la polizia italiana impedisce un accesso immediato alla procedura di asilo. Minori che vengono lasciati partire dalla polizia greca, connivente con organizzazioni criminali che lucrano ingenti guadagni. Non si vuole riconoscere che il numero di profughi, molti dei quali minori isolati, che giungono alle frontiere italiane dall’Irak e dall’Afghanistan è in continuo aumento, malgrado il prolungarsi degli interventi militari dei paesi occidentali. Come si nega l’evidenza di una guerra di occupazione, si nega che i minori che fuggono da quei paesi abbiano diritto a chiedere asilo, ottenendo l’accesso immediato alla procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato.
Cosa può fare adesso l’Unione Europea nel Mediterraneo ? Secondo il ministro Amato l’Unione deve fare almeno due cose. La prima consiste nell’invio di una squadra FRONTEX a Lampedusa per effettuare pattugliamenti congiunti al limite delle acque territoriali libiche, in modo da respingere collettivamente tutti coloro che cercheranno di attraversare il Canale di Sicilia. Anche se tutti riconoscono che ormai i flussi migratori sono misti, composti da migranti economici e richiedenti asilo. La seconda direzione di intervento consisterebbe nel ricercare nuovi accordi con la Libia in modo da garantire un impegno ancora più assiduo da parte di questo paese nell’arresto e nella deportazione dei migranti irregolari, come si è già fatto con l’Egitto all’inizio del 2007. Anche se il Parlamento Europeo e diverse agenzie umanitarie, compreso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, hanno lamentato il mancato riconoscimento in Libia del diritto di asilo e gravi violazioni dei diritti fondamentali delle persone da parte della polizia libica. E sono ben noti i metodi di interrogatorio della polizia egiziana alla quale la polizia italiana riconsegna migliaia di immigrati irregolari. Come sono noti gli abusi quotidiani della polizia libica ai danni degli immigrati in quel paese. E senza ricordare che in Libia vige ancora la pena di morte e la tortura come si è verificato nel processo farsa alle infermiere bulgare, accusate di avere contagiato alcuni pazienti che avevano in cura in un ospedale libico.
In questo quadro, può costituire la premessa per gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona il coinvolgimento nelle pattuglie FRONTEX di unità navali di paesi che non rispettano i diritti dei richiedenti asilo, come Malta. Direzione nella quale si sta muovendo anche il governo Prodi con la missione “informale” di D’Alema a Tripoli. Quando e in che termini il ministro riferirà al parlamento? O si proseguirà ancora con gli accordi bilaterali di polizia, riservati, sottratti a qualsiasi controllo democratico? Preoccupa anche la prospettiva di una polizia di frontiera europea, rivolta soltanto ad arrestare i migranti clandestini, come si è verificato con l’invio di agenti di polizia di vari paesi a Lampedusa. Assai probabilmente nella prospettiva della organizzazione di voli congiunti per organizzare espulsioni collettive verso paesi nei quali l’Italia non effettua rimpatri, ma nei quali da tempo altri paesi come la Germania spediscono richiedenti asilo “diniegati” che vengono consegnati dalla polizia direttamente nelle mani dei loro persecutori (come e’ successo in diverse occasioni per i Kurdi e gli Afgani respinti dalla Germania nei paesi di origine nei quali hanno subito carcere e torture).
Anche i nuovi pattugliamenti congiunti e i respingimenti collettivi praticati dall’Agenzia Frontex destano un particolare allarme. Lo scorso anno la nave Sibilla della Marina Militare italiana ha praticato nel canale di Sicilia, in collaborazione con unità navali della Marina militare tunisina, il primo respingimento in mare verso un porto tunisino, consegnando alle autorità di quel paese una imbarcazione carica di migranti che era stata intercettata in acque internazionali. Nessuna Convenzione internazionale prevede questo tipo di respingimento in mare, e la Direttiva emanata nel 2002 da Berlusconi si limitava a prevedere il blocco in acque internazionali delle imbarcazioni cariche di migranti irregolari al solo scopo di effettuare le ispezioni a bordo ( la cd. visita di bandiera).
Nel marzo del 2007 si è registrato il primo intervento di una unità della marina militare italiana in Oceano, al largo delle coste del Senegal, nell’ambito delle attività di contrasto dell’agenzia Frontex, con il respingimento collettivo di centinaia di migranti che tentavano di raggiungere le isole Canarie. L’imbarcazione Happy Day condotta da una unità militare italiana in un porto senegalese è stata poi fatta ripartire verso sud, verso le coste della Guinea Conakry, su ordine dalle stesse autorità senegalesi, forse preoccupate, dopo l’iniziale assenso all’operazione FRONTEX, di un caso che poteva costituire un pericoloso precedente. Queste prassi al di fuori della legalità internazionale alimentano il rischio di nuove stragi e possono costituire una gravissima lesione del diritto di asilo riconosciuto a livello internazionale e dalla Costituzione italiana.
Il Commissario Europeo Frattini auspica adesso che queste pratiche di pattugliamento congiunto si estendano a tutto il Mediterraneo in nome del principio della solidarietà comunitaria. Ma sappiamo bene cosa significa questo principio di solidarietà invocato ipocritamente solo al fine di respingere il maggior numero di migranti, ma smentito nei fatti dagli egoismi nazionali e dalla mancata collaborazione dei paesi europei. E’ ancora viva la memoria della vicenda Cap Anamur, sulla quale rimane ancora aperto un processo ad Agrigento dove si mettono sul banco di accusa, come se si trattasse di scafisti, i rappresentanti di una organizzazione umanitaria tedesca che aveva salvato decine di naufraghi da una morte certa. Anche in quella occasione la mancata collaborazione degli stati europei più direttamente coinvolti (Germania, Italia, Malta) si era tradotta nella criminalizzazione dei naufraghi e di chi aveva prestato un intervento di soccorso.
In realtà la vicenda della Cap Anamur, nel 2004, aveva segnato il punto di svolta nelle politiche europee di “contenimento” dell’immigrazione clandestina. Dopo una iniziale collaborazione tra il governo tedesco e quello italiano, il governo tedesco rifiutava di esaminare le domande di asilo presentate dai naufraghi salvati dalla nave tedesca ed il governo italiano ritirava la disponibilità, già dichiarata in precedenza, di concedere un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari, procedendo quindi a eseguire vere e proprie espulsioni collettive, malgrado l’intervento cautelare della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Da allora ad oggi, malgrado le dichiarazioni pubbliche dei responsabili dei governi europei e dei rispettivi ministri dell’interno, tutte rivolte a richiamare il principio astratto della solidarietà ( tra gli stati europei), e malgrado la istituzione dell’agenzia di controllo delle frontiere esterne ( FRONTEX), che questa solidarietà tra stati contro i migranti dovrebbe realizzare, si è tornati a forme più evolute di cooperazione bilaterale tra i paesi di provenienza e di transito ed i paesi di destinazione in Europa. I paesi del nord- europa ed i paesi di nuova ammissione sono infatti rimasti assai tiepidi rispetto alle pressanti richieste di finanziamento del commissario europeo Frattini, ed i mezzi fino ad ora impegnati da FRONTEX si sono limitati ad azioni sporadiche, enfatizzate allo scopo di dimostrare una capacità di controllo delle frontiere marittime che ancora è ben lontana da realizzare. Non stupisce quindi che i paesi più esposti, come la Spagna, abbiano tentato la via degli accordi bilaterali, anche in violazione di consolidate convenzioni internazionali che proteggono le categorie di migranti più vulnerabili, i minori non accompagnati.
Nel marzo del 2007 a Rabat è stato firmato un accordo tra la Spagna ed il Marocco che, nell’ambito delle misure rivolte a prevenire l’immigrazione irregolare prevede il rimpatrio forzato” concertato” dei minori immigrati non accompagnati, e la successiva detenzione amministrativa in centri appositi realizzati in Marocco ( a Tangeri, a Nador ed a Marrakech) con il contributo finanziario della Spagna. Il governo spagnolo ha trascurato persino la circostanza che i minori rimpatriati in Marocco sono passibili di una pena pecuniaria che può essere convertita in pena detentiva per emigrazione clandestina. La cooperazione allo sviluppo si riduce così ad un sostegno finanziario per la esternalizzazione dei centri di detenzione amministrativa. E’ questa la logica ormai immanente nelle politiche di vicinato praticate dagli stati dell’Europa meridionale in materia di immigrazione e asilo, senza nessuna attenzione per i diritti dei migranti più vulnerabili come le donne, i minori, i richiedenti asilo. Aspettiamo adesso che dopo il viaggio in Libia il ministro D’Alema, vicepresidente del consiglio spieghi al Parlamento dopo i suoi incontri con le autorità libiche quali iniziative ha assunto nella direzione della difesa dei migranti più vulnerabili.
Quali garanzie per i diritti fondamentali della persona umana saranno riconosciuti adesso ai migranti di fronte alle nuove frontiere europee ed alle politiche di riammissione? Occorre innanzitutto una nuova disciplina degli ingressi legali per lavoro, a livello nazionale, se non sarà possibile trovare una intesa a livello europeo. Se non si introdurranno al più resto forme di regolarizzazione individuale occorrerà ricorrere ad un ennesima sanatoria generalizzata. Va comunque moralizzato il mercato del lavoro. Altrimenti il lavoro informale costituirà una potente attrazione che nessuna nave militare riuscirà ad offuscare.
Occorre depenalizzare al più presto gli interventi di salvataggio a mare da parte delle imbarcazioni non militari, in modo da rendere più tempestive le azioni di salvataggio. Le missioni FRONTEX devono essere rimodulate nella prospettiva della salvaguardia assoluta della vita umana e del diritto di asilo. Va quindi modificata la disciplina delle espulsioni e dei respingimenti, considerandola strumento eccezionale e non metodo ordinario di gestione dell’immigrazione. Di conseguenza devono essere chiusi gli attuali centri di detenzione amministrativa e i centri di identificazione. Non si dovranno più verificare espulsioni o respingimenti verso paesi che non garantiscono i diritti fondamentali della persona umana, a partire dal diritto di asilo. Occorre istituire veri e propri centri di accoglienza per i richiedenti asilo. Si deve ricordare al riguardo che l’accompagnamento coattivo in frontiera, e dunque qualunque ipotesi di respingimento in frontiera, immediato o differito, anche nei casi nei quali non sia preceduto da un trattenimento in un centro di permanenza temporanea, è qualificabile come “misura limitativa della libertà personale”, come tale soggetta alle rigide previsioni dell’art. 13 della Costituzione.
L’Italia dovrà dare effettiva attuazione al diritto di asilo previsto dall’art. 10 della Costituzione senza limitarsi alla applicazione delle direttive comunitarie che in questa materia hanno una formulazione assai regressiva. Al di là delle affermazioni di principio, gli accordi di riammissione dovranno garantire a tutti i migranti il riconoscimento effettivo del diritto di asilo e l’accesso alla procedura senza limitazione della libertà personale dei richiedenti. Deve essere completamente riconsiderata dal Parlamento la materia degli accordi di riammissione, sia perché in contrasto con le normative internazionali ed interne in materia di diritti fondamentali, sia perché le azioni di polizia attuate sulla base di tali accordi sono sottratte ad ogni effettivo controllo giurisdizionale. Gli accordi già stipulati vanno revocati o comunque rinegoziati, ed eventuali accordi futuri, comunque discussi ed approvati dal Parlamento, dovranno essere strettamente conformi alle norme internazionali e costituzionali sulla tutela dei diritti fondamentali della persona. Su tutti questi temi dovrà svilupparsi un rinnovato impegno italiano a livello comunitario, capace di spezzare la spirale securitaria che, tra allarmi ed annunci di misure repressive che poi si rivelano inefficaci, amplifica la insicurezza dei cittadini comunitari e crea le condizioni per nuove stratificazioni sociali che potranno impedire i percorsi di integrazione e la coesione sociale che, di fronte al fenomeno strutturale delle migrazioni in Europa, tutti, a parole, auspicano.
Iniziative come la partecipazione al vertice di Tripoli dello scorso novembre e la recente visita del ministro D’Alema in Libia, per la forma e per il contenuto che hanno avuto, confermano purtroppo quanto rimane grande la distanza tra le parole ed i fatti dei politici che ci governano.