La previsione nel rapporto Onu sulla popolazione anticipato su Corriere.it
Italia quarta meta mondiale di immigrati
Nella classifica dei maggiori destinatari di stranieri relativa al 2050 in testa ci sono Usa, Canada e Germania, seguite dal Belpaese
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NEW YORK – L’Italia, con una popolazione «nativa» che non cresce più ma ha già incominciato a diminuire lentamente, nel non remoto anno 2050 è destinata a salire addirittura al quarto posto della classifica mondiale, fra le nazioni industrializzate che sono meta dei principali flussi migratori. La notizia inaspettata emerge dal rapporto dal Dipartimento affari economici e sociali delle Nazioni Unite che sarà pubblicato nei prossimi giorni al Palazzo di Vetro di New York e che il Corriere.it è in grado di anticipare nelle conclusioni principali. «In termini di medie annuali – si legge nella bozza dell’indagine condotta da una commissione di esperti demografici di 47 paesi – i maggiori destinatari di immigrati stranieri saranno gli Stati Uniti (1,1 milioni all’anno), il Canada (200.000), la Germania (150.000) e l’Italia (139.000)». Seguono, sempre nel mondo industrializzato occidentale, il Regno Unito con 130 mila arrivi di immigrati all’anno, la Spagna con 120mila e l’Australia con 100mila. Della Commissione demografica dell’Onu, che si rinnova a rotazione ogni quattro anni, l’Italia attualmente non fa parte.
Il rapporto, per motivi anche di peso in termini di popolazione, riflette necessariamente le posizioni dei giganti demografici come Cina, India, Stati Uniti, Indonesia, Pakistan, Brasile e Messico. L’Europa è però rappresentata da Belgio, Francia, Germania, Ungheria, Lussemburgo, Olanda, Gran Bretagna, Svezia e Svizzera, oltre a Russia e Ucraina. Queste proiezioni sui movimenti migratori verso l’Occidente, diversamente da quelle di carattere globale che prendono in esame l’evoluzione demografica nel mondo negli anni 1950, 2007, 2015, 2025 e 2050, si riferiscono al periodo 2005-2010. Dato che le stime utilizzate dal rapporto tengono conto, sulla base di speciali accorgimenti di calcolo statistico, anche del presumibile numero di immigrati clandestini, i dati della Commission on Population and Development dell’Onu secondo alcuni tecnici sono da considerare più realistici di quelli diffusi dai governi, a volte edulcorati ad uso interno per non suscitare allarmi o reazioni xenofobe all’interno dei paesi. «Un aspetto chiave da non dimenticare – commenta in un’intervista al Corriere Ronald Lee, professore di economia e demografia all’università di Berkeley in California, che è anche uno dei tre autori principali del rapporto ONU sulla popolazione – è il fatto che gli immigrati, visti in alcuni paesi dove l’immigrazione è fenomeno recente come un pericolo per il tenore di vita degli "indigeni" che si sentono minacciati dalla loro concorrenza, sono invece una risorsa economica importante. Negli Stati Uniti, per esempio, oltre a contribuire almeno per lo 0,5% alla creazione del Pil, gli immigrati, dato che consumano e pagano le tasse, se sono regolarizzati anche sul reddito e in ogni caso sui consumi, è stato calcolato che ciascun immigrato dà un contributo fiscale ‘positivo’ di 100.000 dollari l’anno, pari a quasi 80.000 euro, al bilancio federale». Da questa cifra vanno però sottratti i costi sociali dovuti alla presenza degli immigrati che ricadono sulle amministrazioni locali dei vari stati dell’Unione. «E’ il caso – spiega Lee – della spesa sanitaria e della scuola, perché chi emigra, come è umanamente comprensibile, fa di tutto per essere raggiunto dai familiari, si sposa o ha dei bambini. Ma abbiamo calcolato che questo peso supplementare per la finanza pubblica dovuto agli immigrati non va oltre i 25.000 dollari, ovvero a circa 20.000 euro all’anno. Fatte le somme e sottrazioni, dunque, ogni immigrato porta a questo paese più di quanto costa. Non è un peso ma, al contrario, crea ricchezza». Anche negli Stati Uniti, però, la presenza sempre più massiccia di immigrati (attualmente, su 305 milioni, sono almeno l’8 per cento, e ogni anno il loro numero sale al ritmo di un milione e 100 mila) incomincia a creare dei problemi destinati ad aumentare. Anzitutto quelli sociali e culturali, perché i nuovi arrivi non sentono più come un tempo il bisogno di “americanizzarsi” e vogliono conservare buona parte delle loro tradizioni, incominciando dalla lingua. Nelle scuole in California, per esempio, nelle classi spesso più che l’inglese si parla lo spagnolo. E a New York quasi nessuno dei tassisti, in maggioranza arabi o asiatici, parla più di poche frasi inglesi smozzicate, tanto che perfino per gli esami di guida è possibile sostenere le prove, oltre che in inglese anche in altre lingue come il cinese o l’urdu. Più fondamentali saranno però in futuro le ripercussioni sul sistema assistenziale. Occorrerà costruire un sistema sanitario molto più efficiente dell’attuale piano Medicare che oggi assicura solo gli ultra 65-enni ,e del programma Medicaid, che agli indigenti o alle persone prive di assicurazione sanitaria (almeno 40 milioni) garantisce una copertura gratuita ma di livello spesso inadeguato, anche se gli ospedali sono sempre tenuti a garantire le cure di emergenza di chiunque, con o senza assicurazione. Il problema, avverte il demografo di Berkeley, non è solo americano. «In Europa con la maggior longevità e la tendenza ad avere meno figli che in America, non si può chiudere gli occhi alla realtà. L’equilibrio attuale della spesa assistenziale e sanitaria, non è sostenibile e il collasso si potrà evitare solo accettando di lavorare volontariamente fino a un’età più avanzata, senza costrizioni ma con un sistema di incentivi. E lo stesso discorso, a partire dal 2050, si porrà pesantemente in Cina. Per capirlo basta guardare le proiezioni della piramide cinese delle età fra quarant’anni: una piramide rovesciata, con sempre meno giovani alla base, che non possono sostenere da soli il peso crescente degli anziani».
Renzo Cianfanelli
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