Con il D.Lgs. 2007/5 il Governo italiano ha dato finalmente attuazione alla direttiva 2003/86/CE del 22 settembre 2003 relativa al diritto di ricongiungimento familiare.
In particolare, la direttiva fissa le condizioni in base alle quali i cittadini di paesi terzi, regolarmente residenti nel territorio degli stati membri dell’UE, possono esercitare il diritto al ricongiungimento, quale strumento necessario per il mantenimento o la creazione della vita familiare e mezzo per promuovere la coesione economica e sociale fra gli stati dell’UE.
Il diritto all’unità familiare è oggi riconosciuto, in forza del nuovo art. 28, I comma, D.L.vo 1998/286, agli stranieri titolari di carta di soggiorno o permesso di soggiorno, di durata non inferiore ad un anno, rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero per asilo, studio, motivi religiosi o familiari. Si amplia, pertanto, la categoria degli aventi diritto al ricongiungimento, posto che è incluso anche lo straniero munito di PdS per motivi familiari.
Vieppiù: è ora espressamente disciplinato il diritto al ricongiungimento dei rifugiati. L’art. 29 bis TU Immigrazione, introdotto dal decreto del 2007, stabilisce infatti che lo straniero riconosciuto rifugiato possa chiedere il ricongiungimento per le medesime categorie di familiari e con la stessa procedura prevista dal TU per gli altri stranieri. Ciò accogliendo le indicazioni della direttiva CE del 2003, nella parte in cui sottolinea che la situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare, dovendosi, pertanto, prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento. Tale favor, invero, nella normativa nazionale si rinviene, in primo luogo, nel fatto che al rifugiato non è richiesta la sussistenza delle condizioni di ricongiungimento contemplate al III comma dell’art. 29 TU Immigrazione (alloggio idoneo, reddito derivante da fonti lecite sufficiente a mantenere sé ed il familiare ricongiunto); secondariamente, dalla circostanza che nel caso, peraltro non infrequente, in cui il rifugiato, a causa del proprio status ovvero per l’assenza di un’autorità locale, non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli familiari, le rappresentanze diplomatiche o consolari, dopo adeguate verifiche, provvedono al rilascio di apposite certificazioni. Il rifugiato è altresì ammesso a provare l’esistenza del vincolo familiare anche con altri mezzi. Rimane escluso, invece, il diritto al ricongiungimento familiare dei soggetti che hanno richiesto, ma non ancora ottenuto, lo status di rifugiato ovvero siano destinatari di provvedimenti temporanei di protezione, e ciò in aderenza a quanto previsto dalla direttiva CE.
Non subisce ampliamento alcuno la categoria dei familiari per i quali è possibile chiedere il ricongiungimento, laddove, invece, la direttiva comunitaria ha lasciato agli stati membri la piena libertà di autorizzare la riunione familiare anche per il partner non coniugato che sia cittadino di un paese terzo ed abbia una relazione stabile, duratura, debitamente comprovata, con il soggiornante, o del cittadino di un paese terzo legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata, nonché i rispettivi figli minori non coniugati, ovvero adulti ma non autosufficienti per problemi di salute. Chiaramente, un’apertura così importante è stata pensata per quei paesi dell’UE che sono dotati di una precisa regolamentazione interna delle convivenze more uxorio.
Ciò spiega a fortori la scelta dell’Italia di non recepire questa parte della direttiva comunitaria. A tutt’oggi, pertanto, è possibile chiedere il ricongiungimento per il solo coniuge, i figli minori, anche del coniuge o nati fuori dal matrimonio, non coniugati (abolita dunque la condizione di figlio "a carico"), figli maggiorenni a carico, qualora permanentemente impossibilitati a provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita per motivi di salute (non è più richiesta l’invalidità totale), nonché genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese di origine o di provenienza (eliminata la necessità dell’accertamento dell’esistenza di altri figli nel paese d’origine).
I requisiti richiesti al soggiornante per ottenere il ricongiungimento, oltre al possesso della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno con le caratteristiche sopra indicate, sono la disponibilità di un alloggio idoneo e una capacità reddituale tale da consentire il mantenimento di sé e dei ricongiunti, utilizzando come parametro di riferimento l’importo annuo dell’assegno sociale .
Facilitato il ricongiungimento dello straniero già espulso dal territorio nazionale, per il quale, infatti, non trova applicazione il divieto di reingresso per dieci anni previsto dall’art. 13, comma 13, TU Immigrazione. Ciò significa che, tranne nel caso in cui l’espulso rappresenti una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello stato (secondo una valutazione che dovrà, quindi, essere eseguita in rapporto al singolo caso), l’espulsione non può essere ostativa al ricongiungimento, cui lo straniero, pertanto, ha pieno diritto. Peraltro, anche i provvedimenti di espulsione adottati nei confronti del soggiornante che ha chiesto il ricongiungimento o del familiare ricongiunto debbono tener conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine. Resta fermo che la richiesta di ricongiungimento è rigettata qualora sia accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all’interessato l’ingresso o il soggiorno nel territorio dello stato. Così dispone il nuovo comma 9 dell’art. 29 TU Immigrazione.
di Laura Cassamali