Lunedì scorso abbiamo accompagnato Elettra Deiana a visitare il carcere femminile di Rebibbia. A visitare la sezione nido dove sono recluse 13, esclusivamente rom, delle 40 detenute con figli in Italia. Dove bambini di pochi anni sono reclusi per un tentativo di furto di un telefonino commesso dalla madre
Elisabetta Piccolotti*
Gennaro Santoro**
Lunedì scorso abbiamo accompagnato Elettra Deiana a visitare il carcere femminile di Rebibbia. A visitare la sezione nido dove sono recluse 13, esclusivamente rom, delle 40 detenute con figli in Italia. Dove bambini di pochi anni sono reclusi per un tentativo di furto di un telefonino commesso dalla madre. Dove ci è capitato di incontrare l'autrice dell'efferata uccisione di Vanessa Russo nella metropolitana, Doina Matei, che non è soltanto il mostro disegnato dalla stampa, ma è anche la mamma prostituta ventunenne di due bambini lontani, di sei e quattro anni.
Doina, che come unico effetto personale custodisce nella sua cella una Bibbia, è l'autrice di un crimine insensato, inspiegabile e ingiustificabile che dovrà essere giudicato dall'autorità giudiziaria. Un crimine che ha tolto la vita ad un'altra giovane ragazza come lei e ha lasciato un insopportabile strascico di dolore in un'altra madre e in un'intera comunità. Eppure così come ci infastidisce l'ipocrisia del politiccaly correct, ci hanno infastidito in questi giorni anche i tanti che, in nome del parlar chiaro, hanno assecondato una piaga della nostra cultura giuridica, sociale e politica: quella che fa dipingere ogni volta lo straniero come un mostro, quella che ha demonizzato il singolo e l'intera comunità rumena. Ci siamo chiesti in quel carcere, e lo chiediamo anche a voi: non sarebbe meglio che la stampa non si sostituisca alle toghe e svolga a pieno il suo nobile compito? Semplicemente in-formare e non de-formare l'opinione pubblica. Sarkozy ha vinto in Francia e si sono accesi di nuovo i fuochi nelle banlieues, Mastella ha proposto di mandare in orbita i nomadi, 15 dì a stanziamento e poi fuori dalle scatole, Veltroni invece dalla sua dice di voler "semplicemente" spostarli fuori dalla città, nel frattempo lettori stufi di sentirsi "insicuri" scrivono a Repubblica e si ritrovano in prima pagina. Gli rispondono Augias e poi ieri lo stesso Veltroni, e il dibattito non sembra spegnersi. E' forse questa la vera sfida dei tanti e tante diversi che a sinistra discutono in questi giorni e che da sinistra vogliono cambiare le cose: quali le risposte del governo Prodi sui temi della giustizia e dell'immigrazione.
Un segnale positivo c'era stato: l'indulto. Ma proprio la campagna di demonizzazione mediatica su quel provvedimento spiegò al paese che il giustizialismo non è un male che affligge le sole destre. Per fortuna ora i dati ufficiali del ministero della giustizia spiegano che gli indultati hanno commesso 1/6 dei reati che normalmente commette chi è appena uscito dal carcere, smentendo scientificamente le Apocalipse now lanciate dai vari Travaglio di turno. Furono smentiti anche tutti coloro, troppi, che demonizzarono il marito marocchino del caso Erba, ma quell'insegnamento è già stato gettato alle ortiche e vince ancora nell'opinione pubblica una schizofrenia di matrice xenofoba. La mano forte sulla legalità non è sinonimo di sicurezza, avvertita Pietro Ingrao già nel 1975 esortando a non avere un atteggiamento pan-giustizialista. Infatti sono aumentati i clandestini da quando con la legge Bossi-Fini l'80% delle risorse per l'immigrazione vengono
destinate alla repressione e da 60 anni nei carceri italiani ogni detenuto costa in media 300 euro al giorno e su 10 detenuti rimessi in libertà almeno 6 ricadono nel reato ed in nuova carcerazione. Perché llora non sperimentare nuove strade, più consone al dettato costituzionale, più attente alla sicurezza dei diritti di tutti e non solo alla sicurezza urbana? Sia ben chiaro, siamo coscienti che la sicurezza urbana è un bene primario perché tutela la possibilità di vivere liberamente lo spazio pubblico e sociale. Allo stesso modo siamo coscienti delle difficoltà di Roma, dopo un periodo di apertura, ad accogliere nuovi stanziamenti rom: è giusto che anche altre città siano coinvolte per attenuare l'impatto sociale locale e prevenire conflitti, è giusto che anche lo Stato faccia la sua parte, investendo risorse in politiche sociali adeguate.
Vale sul piano locale ma anche su quello nazionale. Oggi che discutiamo di come investire le risorse derivanti dal "tesoretto" facciamoci una domanda: non va a vantaggio di entrambi, deboli e benpensanti, dare la possibilità a tutti di vivere una vita degna, di scappare dal ricatto continuo del bisogno, di sfuggire ad una tenaglia fatta di crimini, povertà, esclusione? Non va a vantaggio della tanto decantata "sicurezza" e "legalità"?
*(portavoce nazionale Giovani comunisti/e)
**(coordinatore campagna "Il carcere dopo l'indulto")