In Europa ci sono decine di migliaia di ragazze e ragazzi adolescenti che non hanno casa e migrano spesso illegalmente con tutti i rischi che ne conseguono.
Sono i cosiddetti “minori stranieri non accompagnati”, un fenomeno spesso invisibile ma in crescita, che è stato indagato in tutti suoi aspetti in un saggio dal titolo “La fortezza e i ragazzini. La situazione dei minori stranieri in Europa” (Franco Angeli, pagg. 176, 18, euro), scritto a quattro mani da Giovanna Campani, docente di Pedagogia Interculturale all’Università di Firenze e Olivia Salimbeni, dottoranda in scienze dell’educazione a Firenze. Un libro che racconta quel che concretamente viene fatto nei diversi paesi e che denuncia la mancanza di una politica europea chiara e unanime su una questione così delicata.
Cominciamo con le cifre. Quanti sono i minori stranieri non accompagnati in Europa e in particolare in Italia?
È difficile offrire sia dati statistici affidabili che comparare i dati disponibili, dato che non esistono a livello europeo criteri standard di registrazione costanti.
In generale, in Europa si può osservare una differenziazione nord-sud, che si applica anche ai movimenti di immigrazione in generale: mentre nei paesi settentrionali ed occidentali la maggioranza di minori stranieri non accompagnati (registrati) è rappresentata dai richiedenti asilo, nei paesi meridionali, come Italia, Portogallo e Spagna, la maggioranza è rappresentata da minori senza uno status di residenza regolare. Secondo un rapporto dell’Unhcr sulla situazione europea, nel 2000 circa 16.100 minori non accompagnati hanno presentato domanda di asilo in 26 paesi europei.
Hanno principalmente tra i 16 e i 17 anni e sono prevalentemente di sesso maschile (70%). La Rete europea degli osservatori nazionali sull’infanzia, che si è riunita anche a gennaio 2007, sostiene che l’Italia è il paese in cui si registra la più alta presenza di minori stranieri non accompagnati in Europa.
Come avviene in Italia la raccolta dei dati?
I dati vengono raccolti dal 2000, da quando il Comitato Minori Stranieri è diventato operativo a tutti gli effetti ed ha tra i suoi compiti quello di provvedere al censimento dei minori presenti non accompagnati.
A fornire la segnalazione sono tenuti tutti gli enti che sono a conoscenza dell’ingresso o della presenza sul territorio di questi ragazzi, come i pubblici ufficiali o coloro che svolgono un’attività sanitaria o di assistenza.
Secondo i dati del Comitato, i minori stranieri non accompagnati presenti in Italia al 31 marzo 2006 sono 6.358.
Un numero sicuramente sottostimato poiché molti dei minori non entrano in contatto con i servizi sociali e le autorità territoriali, altri scappano dalle comunità di accoglienza poche ore dopo esservi entrati e la maggior parte dei ragazzi dichiara alle autorità dati anagrafici differenti di volta in volta per poter rimanere nell’anonimato: tutti elementi che rendono questi minori invisibili e difficile il lavoro delle organizzazioni impegnate nella loro tutela e protezione.
Qual è in generale, rispetto ai paesi da voi analizzati, l’approccio culturale che permea le normative vigenti?
La logica vigente è quella basata sui numeri e sui costi e viene così dimenticata la persona umana e completamente trascurato il suo vissuto. Proprio per la doppia valenza che la categoria stessa di minori stranieri non accompagnati racchiude in sé (quella di essere appunto minori, ma anche stranieri), le risposte legislative ed istituzionali nei diversi paesi europei sono ambigue, riflettendo il tentativo, spesso fallimentare, di non violare le Convenzioni internazionali sull’infanzia e, al tempo stesso, di mantenere le frontiere chiuse di fronte all’immigrazione.
Il risultato è che le Convenzioni sono violate (pensiamo alla pratica della detenzione dei minori, sia nelle zone cosiddette “extra-territoriali” come in Francia, o sul territorio, come in Belgio nei “centri chiusi”) e l’immigrazione irregolare continua. Questo atteggiamento di chiusura riguarda tutti i paesi europei, del Nord e del Sud, d’immigrazione antica e recente. L’Europa del Nord ha, da tempo, una tradizione di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, ma il quadro di riferimento rappresentato dal diritto d’asilo non è sufficiente per garantire una protezione adeguata per tutti.
Nei paesi dell’Europa del Sud, invece, il fenomeno migratorio si è prodotto in assenza di un quadro giuridico definito ed in società che, in Italia e in Grecia per esempio, secondo alcuni ricercatori, non erano “psicologicamente preparate” a ricevere ed accogliere un così vasto numero di stranieri. Sarebbe auspicabile riuscire a creare una rete di collaborazione e prevenzione tra i vari paesi (di provenienza e di accoglienza).
Quali sono le maggiori difficoltà incontrate dagli operatori sociali?
In alcune realtà, come la Francia, il servizio pubblico è predominante; in altre, come la Spagna e l’Italia, sono per lo più associazioni di volontariato (laiche e religiose) che operano nel campo sociale.
Spesso manca la preparazione “interculturale” necessaria, un approccio educativo e formativo, capace di tenere in considerazione la duplice esperienza (quella nel paese di provenienza e quella nel paese d’immigrazione) che il ragazzo o la ragazza hanno. Avere la capacità di guidarli verso la costruzione di un’identità nuova più complessa, capace di tener presente la molteplicità di appartenenze che gli stessi minori sentono di possedere.
Questa formazione degli operatori delle strutture è, purtroppo, perlopiù assente.