Le limitazioni di tipo transitorie, applicate dal Governo Italiano, riguardano esclusivamente la necessità, per i lavoratori di nuovo ingresso che intendono occuparsi in determinati settori del mercato del lavoro di richiedere, pur sempre liberi di entrare senza ostacoli nel territorio italiano, uno speciale nulla osta. Questo adempimento non è sottoposto a quote, graduatorie o altri requisiti che possano costituire incognite nell’esito della pratica. Non vi sono altre restrizioni per i cittadini rumeni e bulgari e quindi tutte le considerazioni che andiamo a fare valgono in linea generale e per l’appunto si basano sull’applicazione della direttiva numero 38 del 2004 dell’Unione Europea che è stata per recepita con il D.lgs. 30/2007, del 6 febbraio, entrato in vigore l’11 aprile scorso.
Questa normativa assegna delle funzioni importantissime agli uffici anagrafe dei comuni per quanto riguarda l’iscrizione dei cittadini comunitari, che sostituisce di fatto la carta di soggiorno, ed ha comportato una certa difficoltà da parte degli stessi uffici nel dare applicazione alle norme. Le indicazioni sinora fornite da parte del Ministero, sull’interpretazione e l’applicazione di queste norme, sono infatti ancora molto vaghe rispetto alla complessa casistica con cui gli uffici devono confrontarsi.
Alcuni casi
Le procedure per l’iscrizione anagrafica dei cittadini neo-comunitari ci presentano ancora molti dubbi. Questi riguardano anche i familiari extra-comunitari di cittadini comunitari che godono dello stesso status giuridico dei cittadini comunitari e quindi della stessa libertà di circolazione sempre che si spostino nel territorio italiano unitamente ai loro familiari cittadini della Comunità Europea. I familiari etra-comunitari di cittadini comunitari devono, prima di effettuare l’iscrizione anagrafica, rivolgersi alla questura per richiedere la carta di soggiorno, e quindi, la verifica dei requisiti. Proprio dal momento che la verifica dei requisiti viene effettuata, in prima battuta, dalla Questura, l’iscrizione presso l’ufficio anagrafe dovrebbe poi diventare più semplice perché il principale ostacolo, rappresentato dalla verifica dei requisiti, è già stato superato.
Presso gli uffici anagrafe si pongono dei comprensibili problemi interpretativi proprio a causa della mancanza di specifiche indicazioni.
Il diritto di soggiorno per periodi inferiore ai tre mesi
L’articolo 7 del D.lgs. 30/2007, del 6 febbraio prevede che vi sia un diritto di soggiorno per periodi superiori ai tre mesi per i cittadini dell’Unione Europea quando questi siano lavoratori subordinati o autonomi nello Stato italiano, oppure, in alternativa, quando si tratti di persone che a prescindere dal fatto che svolgano o meno una qualsiasi attività lavorativa dispongano per se stesse, e per i propri familiari a carico, di risorse economiche sufficienti (art.6).
I problemi si pongono in merito alla interpretazione di questa norma.
I cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo non superiore ai tre mesi senza alcuna condizione o formalità salvo il possesso di un documento d’identità valido per l’espatrio secondo la legislazione dello Stato di cui hanno cittadinanza.
Questa norma non si presta ad equivoci interpretativi, e ci permette di chiarire che, fino ai tre mesi, nulla si deve chiedere, neppure per i familiari extra-comunitari di cittadini comunitari (salvo ovviamente il visto di ingresso ai sensi dell’art.5 e tenuto conto del divieto di respingimento di cui al comma 5 dello steso articolo). D’altra parte, per soggiorni fino ai tre mesi, non è nemmeno necessario richiedere l’iscrizione anagrafica e quindi dimostrare alcun requisito.
Il diritto di soggiorno dopo i tre mesi – l’iscrizione anagrafica
Ciò che ora consideriamo è la posizione di chi invece, in quanto soggiornante da più di tre mesi, o intendendo soggiornare per più di tre mesi, vuole perfezionare l’iscrizione anagrafica o richiedere il rilascio della carta di soggiorno, nel caso di familiare extra-comunitario di cittadino comunitario.
Lavoro subordinato o autonomo – la disponibilità di somme di denaro sufficienti
Se si tratta di un lavoratore subordinato o autonomo non dovrebbero esservi problemi, lo svolgimento di attività di lavoro subordinato o autonomo, dimostra di per sé il possesso di lecite fonti di sostentamento. Il limite minimo delle disponibilità economiche è riferito all’importo annuo dell’assegno sociale pari a 5061.81 euro per persona. Nel caso si tratti di più familiari si applicano gli stessi criteri moltiplicatori che previsti dall’art. 29 del T.U sull’immigrazione, quali condizioni per l’autorizzazione alla ricongiunzione familiare (art.9, comma 3 lett.c).
Nessuna tipologia di contratto è esclusa dalla norma, di conseguenza, tutte le attività lavorative sono consentite, con qualsiasi tipo di contratto, si tratti di un contratto a tempo indeterminato come pure di un contratto a tempo determinato, di un contratto a chiamata, di collaborazione, o a progetto. Lo stesso vale per tutte le tipologie contrattuali cosiddette “atipiche”, previste dalla c.d. “Legge Biagi”, D.lgs. 276/2003, purché comportino la verifica di un reddito minimo annuo che si presume possa esser garantito dalla prosecuzione del contratto, nella misura minima dei 5061.81 euro.
La disponibilità di somme di denaro sufficienti indipendentemente dall’attività lavorativa
La norma, quando prevede che, indipendentemente dall’attività lavorativa, un cittadino comunitario, abbia diritto di soggiorno, se dispone per se stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti per non diventare un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato, non fa riferimento ad un reddito necessariamente derivante da attività lavorativa, quindi ad una risorsa economica propria, ma più genericamente alla disponibilità di risorse economiche.
Peraltro, come precisa il comma 4 dell’art.9, la dimostrazione delle risorse economiche sufficienti può avvenire “anche attraverso la dichiarazione di cui agli articoli 46 e 47 del D.P.R. 445/2000” (c.d. “autocertificazione”, ovvero dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atto di notorietà), che viene fatta sotto la propria responsabilità (anche penale) e con facoltà di verifica da parte dell’ente destinatario. E’ chiaro, comunque, che l’uso delle c.d. “autocertificazioni” non ha lo scopo di consentire mere finzioni, quindi di dichiarare la disponibilità di risorse non realmente esistenti, ma solo di semplificare l’attività amministrativa evitando la produzione di documenti o certificati che dovrebbero realmente esistere e consentire di dimostrare le circostanze dichiarate.
La copertura sanitaria
Il requisito della disponibilità di risorse economiche sufficienti da solo non basta. E’ necessario anche possedere una copertura sanitaria. La copertura sanitaria, o assicurazione sanitaria, o altro titolo idoneo, come dice la norma, che copra tutti i rischi relativi all’assistenza sanitaria nel territorio nazionale, è insita ovviamente nello svolgimento di una regolare attività lavorativa. Chi svolge attività lavorativa regolare, per definizione e per legge, è iscritto obbligatoriamente al servizio sanitario nazionale, e versa già, tramite il datore di lavoro, i contributi per il servizio sanitario nazionale. E’ il caso di specificare poi che, la tessera che attesta l’avvenuta iscrizione al servizio sanitario nazionale, non è un documento che crea, costituisce, il diritto alle prestazioni sanitarie, ma è un documento che riconosce l’esistenza o meglio la pre-esistenza di questo diritto che nasce, per esempio, nel caso di chi lavora, già a partire dal momento in cui si è assoggettati al versamento di contributi, fra i quali ci sono anche i contributi al servizio sanitario nazionale. La tessera sanitaria non ha un valore costitutivo del diritto ma ha un valore meramente ricognitivo della sua pre-esistenza. Non è il possesso o meno della tessera sanitaria che ci permette di constatare se esiste questo diritto, ma è la verifica delle circostanze che di fatto ne consentono l’attivazione, nel caso specifico lo svolgimento di attività lavorativa.