Ma a Roma il sindaco di tutti scivola sulle politiche per i rom
Critiche e pochi sconti per Walter Veltroni in un'affollata assemblea cittadina. Don Sardelli: «Il sindaco discute con noi ma poi interpreta le nostre proposte come vuole»
Giovanna Boursier
Roma
Mentre a Torino si candida alla guida del partito democratico, a Roma si discute di lui e del «Patto per la sicurezza» che il sindaco Veltroni ha recentemente firmato. Ci si chiede come abbia potuto il leader politico che tutti incensano come l'unico in grado di far uscire il centrosinistra dall'incapacità di rappresentare e stare tra la gente, decidere che va bene mettere i rom fuori dalla città, costruendo 4 enormi campi dove trasferirne 4mila per poi, evidentemente, espellere gli altri 8mila che restano. Eppure, prima di correre a Torino, Veltroni era in Romania a progettare le «necessarie politiche per la sicurezza» che va affrontata, ha detto, anche con «mezzi un po' ruvidi». E a decidere, come è nel suo stile, di far arrivare nella capitale poliziotti rumeni ma anche, con scambi culturali, arte e cinema di quel paese dove però, viene da dirgli, esistono anche film (in Italia Osservazione Onlus ha editato «Suspino») che raccontano i pogrom contro i rom, i loro villaggi incendiati dai nazionalisti e i motivi per cui la più grande minoranza dell'est scappa da noi.
Per discutere di questo e altro le realtà che da anni si occupano di rom, migranti e senza casa, si sono date appuntamento alla Casa delle Culture e la sala si è riempita di persone e parole, proprio perché, è stato detto da tutti, il Patto per la sicurezza è decisamente in antitesi con la democrazia. Lo ha spiegato don Roberto Sardelli, il prete di frontiera che 37 anni fa, dalle baracche dell'Acquedotto Felice, un tugurio di miseria dove era andato a stare creando la «Scuola 725», scrisse con i suoi alunni la famosa «Lettera al Sindaco» per spingerlo a affrontare il problema dei baraccati lasciati fuori dalla città. Due mesi fa don Sardelli ha scritto un'altra lettera, questa volta a Veltroni, che esprime preoccupazione per le nuove emarginazioni e, significativamente, riprende ciò che aveva detto nel '70 sulla politica che deve essere fatta dai cittadini. Anche alla Casa delle Culture il prete è stato molto netto: «Qui non si capisce più cosa sia la democrazia. Veltroni sa bene cosa facciamo, discute con noi, fa proprie le nostre riflessioni ma poi le interpreta come vuole e va a firmare il Patto con le autorità dello Stato. Questo significa davvero che la democrazia è in pericolo. E allora non si capisce nemmeno cosa si intenda per cultura: se offrire spettacoli o, anche, dar modo a un bambino che non può farlo di esprimersi e stare nel mondo».
Vale a dire, e lo hanno fatto in tanti - da Action, a Rifondazione, alla Cgil, alla Casa dei diritti sociali - che il modo di vivere e i bisogni reali dei rom sono molto diversi da ciò che immagina chi sta al potere. Lo dimostra il fatto che nessuno dei rom intervenuti vuole i campi: «Perché - ha detto uno di loro - non fare dei piccoli villaggi con le case come in altri paesi? Noi stanziali lo chiediamo perché siamo cittadini italiani e paghiamo le tasse. I miei figli hanno votato Prodi e Veltroni che adesso ci caccia fuori dal raccordo e ci rimette nei campi».
Qui tutti sanno che «il nomadismo è una categoria falsa ma funzionale a mascherare la situazione reale e a mantenere i campi», ghetti in cui è impossibile vivere che aumentano emarginazione e pregiudizi. E tutti si preoccupano di come i Patti per la sicurezza, tanto cara alla destra, saranno usati da chi con razzismo e esclusioni ci fa politica. Poi propongono alternative: dalla sostituzione dei campi con case popolari o piccoli villaggi, all'autocostruzione dei rom, alle politiche per scuola e lavoro. C'è indignazione per le politiche assistenziali che, dice un rumeno, «costano 100 euro al giorno e se li dai a noi diventiamo ricchi». In tanti apprezzano l'iniziativa promossa da Stalker qualche notte fa, tutti a dormire nelle tende sul Tevere con i senza casa. Perché, dicono, «bisogna uscire dal solito modo di fare politica e metterci creatività». Qualcuno allora vuole piazzare le tende al Campidoglio, altri decidono di andare a Castelromano, il campo dove stanno trasferendo i rom sgomberati.
Alla fine Stalker presenta «Milka», un video che ammutolisce, la storia di una rom passata per Agnone, il campo di concentramento fascista per «gli zingari». Milka adesso ha 86 anni, aspetta da anni il risarcimento per la deportazione, non ha più la roulotte a Campo Boario che è stato sgomberato, sta male ed è dalla figlia a Pistoia. La serata si chiude sui titoli di coda. A Veltroni, che venerdì sarà alla Notte bianca della solidarietà, in molti vorrebbero chiedere cosa farebbe lui senza casa e senza diritti, magari anche fuori dal raccordo. Non lo possono fare, perché è a Torino, la città dei Re dove ieri, anche lui, è stato incoronato.