Sei qui: HomeEnglishArchivioConvegno del 26.6.07 sui Diritti umani e carceri in Europa- Diritti Umani e carceri in America Latina : riflessioni di un operatrice penitenziaria
Gentile dottor Gonnella, sono un’ educatrice penitenziaria di uno dei distretti del nostro territorio nazionale, che opera da diversi anni nella C.C di Sondrio . Ho preso parte al Convegno del 26 .6 promosso dalla vostra Associazione , con grande interesse e ricevendone emozionanti stimoli alla riflessione sul mio ruolo ed agire quotidiano.
Mi hanno innanzitutto colpito le parole dell’Onorevole Manconi all’apertura dei lavori, quando con linguaggio davvero efficace ha definito “le persone private della libertà, ridotte di autonomia, difesa personale, quindi in condizioni di debolezza, con ridotta dignità personale.” E quando ha indicato un preciso obiettivo, aggiungendo “ va rafforzata e valorizzata la loro residua dignità personale”, “senza nessuna concessione all’astrattezza”.
A tutela nelle istituzioni totali delle persone private della libertà , l’Onorevole ha sostenuto l’importanza di una figura terza, il garante.I miei interrogativi nel tornare nella realtà operativa di tutti i giorni, senza nessuna concessione all’astrattezza, sono stati convogliati in quest’ordine di idee: “ non dovrebbe forse l’educatore essereuna figura a difesa e sostegno di una cultura di rispetto delle garanzie dei diritti fondamentali del detenuto come persona? Nondovrebbe , fungendo da ponte, cooperareattivamente e propositivamente in tal senso con figure altre rispetto all’istituzione totale?
Non trovo riscontro nel contesto operativo in un ruolo incisivo etico dell’educatore penitenziario, imbrigliato in trame disfunzionali pseudo-organizzative di cui spesso è difficile capirne il senso, dove i diritti del detenuto e gli sforzi tesi ad un mandato coerente per l’osservanza di questi, nelle migliori delle situazioni rimangono sua espressione solitaria ed inefficace .
L’antitesi tra l’applicazione dei diritti umani e la sicurezza, pubblica, sociale, penitenziaria è una tentazione ancora forte. Accompagnata ampiamente dall’indifferenza dell’opinione pubblica , circoscritta e delimitata nel contesto penitenziario dalla quasi invisibilità del nostro ruolo. Dove l’esigenza della sicurezza è semplicisticamente enfatizzata , per un senso comune ancora dominante.
Ma il convegno, con concessione all’astrattezza, mi ha corroborato.Ogni esperienza citata, da quella boliviana, a quella argentina, a quella brasiliana, con assoluta comunanza di problemi pur da luoghi tanto diversi, si è rifatta ad un’unica prospettiva: la necessità di sfondare il muro culturale.
I contributi dei delegati funzionari per la Giustizia degli altri stati , in particolare del mio connazionale il Presidente per la Commissione Diritti Umani del Parlamento ArgentinoR.Carlotto, mi spingono a credere che il cominciare (per loro) o continuare (per noi) a discuterne, a colloquiare, può far sì che le intenzioni dai ragionamenti si trasformino in azioni concrete.
Perché la RIEDUCAZIONE, se passa attraverso il rispetto della persona detenuta, è “attraverso mezzi culturali che va raggiunta, non attraverso mezzi punitivi”, come quasi in conclusione il Prof. L.Ferraioli ci ha ricordato.
Grazie ancora alla decisa impostazione etico-civile che avete saputo dare ai discorsi del Convegno.