Sono tornati i girotondi. E sono tornati per affossare le speranze di un provvedimento di clemenza. La contrarietà di Di Pietro, di Travaglio o di Pancho Pardi, al provvedimento di indulto si ammanta di richiami retorici ai valori della legalità, ma nella sostanza celebra la pena come vendetta. Perché i cultori della legalità non si preoccupano e non si occupano di un sistema carcerario oramai fuorilegge? Perché non si indignano di fronte a istituti penitenziari dove le persone vivono ammassate in condizioni tragiche? Perché non denunciano leggi inapplicate (il regolamento sugli standard di vita interna, le leggi sulla salute e sul lavoro), maltrattamenti e violenze, norme costituzionali trasformate in carta straccia? La sinistra deve riappropriarsi del suo rapporto con le libertà, deve evitare facili tentazioni giacobine. Due sono gli ordini di obiezioni che si sentono muovere, in questi giorni, nei confronti dei provvedimenti di clemenza. Il primo si rifà all’idea che la clemenza non sia cosa da riservarsi ai delinquenti. Nel provvedimento di indulto in discussione alcuni gravissimi reati sono stati già esclusi. Si avrebbe una impressione di stridore se, accanto ai reati di mafia o sequestro di persona o di riduzione in schiavitù, ci trovassimo a leggere di mazzette e società di rating. Nell’indulto del 1990 i reati di criminalità economica erano inclusi. Tra i reati indultati vi è l’omicidio che è ben più grave della corruzione e Di Pietro non ha fiatato. Un provvedimento di clemenza per essere tale deve essere generale, non deve avere esclusioni. Solo un omaggio agli spiriti forcaioli e alle spinte propagandistiche, fa scrivere una troppo lunga lista di reati esclusi da un provvedimento che ha la sua base nel senso di umanità, giustizia ed equità. Vi è un secondo ordine di obiezioni che minaccia l’approvazione dell’indulto. I gesti di clemenza, hanno detto più voci autorevoli, non servono a niente, se non a procrastinare di una manciata di mesi i problemi che li hanno dettati. Bisogna pensare piuttosto, si dice ancora, a riforme strutturali del sistema penale, che siano in grado di apportare cambiamenti duraturi. Vero. Ma chi conosce il sistema penitenziario italiano sa che nessuna riforma strutturale è concretizzabile con i numeri attualmente in campo. Se usciranno 13 mila detenuti potrà finalmente partire una grande opera di risanamento delle carceri. La riforma del codice penale sarà il passo successivo. La vicenda Previti non deve essere usata quale arma contro poveri, immigrati, tossicodipendenti, marginali vari. Sono loro i veri fruitori dell’indulto. Purtroppo lo spettro di Previti ha già annebbiato la lucidità della sinistra, quando, si è lasciata passare senza colpo ferire la parte più scandalosa della legge Cirielli, quella di odiosa persecuzione verso i recidivi, tossici e migranti, verso cui si è disposti a versare una lacrima solo quando non costa nulla. Pare che nella lotta politica di oggi, sull’altare della visibilità ognuno abbia il suo piccolo o grande ricatto da porre, naturalmente giustificato da ragioni etiche e Di Pietro rischia di trovare consensi di pancia, ma non per questo meno pericolosi. L’obiezione di Di Pietro, tralasciando la rancida demagogia del cosiddetto “colpo di spugna”, può avere un senso in sede di discussione dell’amnistia. I tangentisti, essendo tutti più o meno incensurati, non finiscono quasi mai in galera, e se vi finiscono accedono subito alle misure alternative. Facciamo appello quindi a tutti i deputati oggi e a tutti i senatori prima della pausa estiva, perché decidano secondo i valori e non le convenienze. Da una parte esprimiamo lucido consenso all’accordo vasto e costituzionale per votare questo provvedimento atteso da anni, dall’altra ci sentiamo in dovere di mettere sull’altro piatto della bilancia la nostra decisione di un digiuno di solidarietà con il Parlamento e con il mondo delle carceri.Patrizio Gonnella, presidente di AntigoneFranco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del comune di Firenze