Domani si dorme con i rom
Uno «sleep out» in un campo, per vedere come saranno i «villaggi della solidarietà» proposti dal sindaco di Roma
Cinzia Gubbini
Roma
«Io lavoro da dieci anni, lavoro come tutti, anche se vivo ancora in un campo, quello della Barbuta. Da anni dico agli altri: per farvi rispettare, dovete rispettare. Ora cosa accadrà quando arriveranno a sgomberarci, con la forza, per deportarci nei "megacampi" che vuole il sindaco Veltroni? Diranno: vedi, anche tu come noi». In queste poche parole del giovane Graziano Halilovic, un ragazzo rom che abita a Roma da anni, un pezzo della storia dei rom che vivono in Italia: promesse mai mantenute, lo sforzo di chi cerca di uscire dai ghetti continuamente seppellito sotto l'«allarme sicurezza» lanciato a fasi alterne dalle forze politiche di destra e di sinistra. E' stato (anche) questo il senso di una partecipata conferenza stampa che ieri hanno organizzato i rom che vivono nei campi di Roma all'università La Sapienza. Una cornice inusuale ma più che consona, visto che l'ennesimo attacco contro le popolazioni rom genera da un contesto culturale malato.
Oggetto della presa di parola da parte dei rom, i «patti per la sicurezza» che anche il comune di Roma ha siglato, con l'annuncio da parte del primo cittadino Walter Veltroni della strategia futura della capitale per risolvere il «problema» rom: la costruzione dei cosiddetti «villaggi della solidarietà», che nient'altro saranno se non i ben noti campi. Soltanto di dimensioni enormi - si parla di mille persone per ciascun insediamento - e fuori dal raccordo anulare. Ma tutti si sono trovati d'accordo anche su un'altra questione, altrettanto importante: il ruolo delle associazioni, che non sempre fanno gli interessi di chi dovrebbero aiutare spartendosi gelose i finanziamenti pubblici, e raramente sono capaci di stimolare la partecipazione dei rom «aiutando a crescere anche una loro leadership» come ha sottolineato Bruno Morelli, un rom abruzzese che nella vita fa l'insegnante e il pittore. «Le associazioni che rivendicano il grande percorso di integrazione che hanno compiuto in questi anni - ha attaccato Graziano - voglio proprio vedere cosa diranno quando arriveranno le ruspe. Se fossi in loro, non lo potrei accettare. E poi, quando verranno chiamate per fare due calcoli per gestire quei campi, cosa diranno? Solo allora si capirà se sceglono il business oppure i valori».
Questioni su cui si discute da anni, importanti, ma che ovviamente vengono accontonate se da parte della politica arrivano sempre e solo attacchi qualunquisti che si traducono in continui sgomberi. Un po' difficile, in una situazione del genere, disquisire sull'integrazione, sulla mancanza di collaborazione da parte dei rom, eccetera eccetera. «Integrazione? E' una parola che ho sentito tante volte, ma vorrei sapere da voi cosa significa - ha detto un rom rumeno, Decebel - io so che i rom non hanno mai messo bombe, né fatto guerre. Invece conosco tanti rom che sanno scrivere e che lavorano. So che i miei figli, quando ho chiesto di inserirli in una scuola, non li hanno mai voluti accettare. So che tutti i giorni mi sveglio nel campo dove vivo con la paura che arrivino le ruspe. E che adesso Veltroni ha chiamato in Italia la polizia rumena: la stessa che 20 anni fa bruciava le nostre case».
Il professor Marco Brazzoduro ha ricordato alcuni punti dei «patti per la sicurezza» - contro cui, domenica a Firenze, si è svolta un'assemblea nazionale per cercare di costuire un coordinamento che li contrasti - «chi viola le regole scritte lì dentro perde la casa. Ma dove si è vista mai una cosa del genere? Quale reato in Italia viene punito con la perdita della casa?». Un vero e proprio ribaltamento del diritto. Si tratta di «particolari» che spariscono sempre nel discorso pubblico. «Lo Stato è sempre stato assente o repressivo nei nostri confronti - ha detto Bruno Morelli - la dignità del nostro popolo non viene riconosciuta, segno evidente che rom e sinti doevono stare da un'altra parte. Dove? Nei campi.. L'informazione ha un ruolo enorme, e una responsabilità enorme. Non è possibile sbattere sempre il mostro in prima pagina e non parlare mai, dico mai, delle esperienze positive o di come vivono i rom».
Per i mass media un'occasione per conoscere più da vicino il primo «villaggio della solidarietà» - che a Roma già esiste da qualche anno a Catel Romano - è lo «sleep out» organizzato da Stalker/Osservatorio nomade per domani alle 19. I Korakhanè del campo invitano tutti a visitare e passare la notte nel campo. Per l'occasione verrà imbottigliata l'«acqua della fonte della Solidarietà»: cioè l'acqua non potabile di cui dovrebbero servirsi le 1.500 persone che vivono nel campo attrezzato.
Ieri una bottiglia con dentro quel liquido fangoso faceva bella mostra di sé sul tavolo. L'ha presa in mano Gigi, uno dei rom che vive a Castel Romano, raccontando del prezzo che i rom pagano per l'esclusione a cui vengono condannati: ci sono stati malati di epatite a causa di quell'acqua.