Rom, la vergogna di Pavia
Gli sgomberati portati via in silenzio. Per il razzismo di cittadini e politici
Clelia Cirvilleri
Pavia
I rom della Snia sono stati trasferiti ieri in località segrete. Non siamo in un film di spionaggio e le persone coinvolte non hanno commesso alcun reato. Ma, per non rischiare la reazione delle amministrazioni e delle popolazioni, il centinaio di cittadini rumeni che il Comune di Pavia aveva allontanato la scorsa settimana dalla fabbrica dismessa sono stati portati via nel silenzio, senza che nessuno sapesse precisamente dove fossero destinati.
Si sa solo che 48 persone sono state sistemate in una comunità alloggio a est del capoluogo; due famiglie hanno firmato un regolare contratto di affitto garantito dalla prefettura; altre dieci persone si trovano in una struttura della Caritas. Per quanto riguarda gli altri, si sa che il prefetto ha disposto il sequestro di un cascinale disabitato, sempre in provincia, e di due case coloniche a Pavia, nella zona di San Pietro, non lontano dai capannoni della ex-Snia.
Ma qualcuno non deve aver rispettato la consegna del riserbo, e proprio nel rione popolare, feudo dei Ds che controllano la giunta cittadina, è scattata la protesta. Erano circa le sei di ieri pomeriggio quando il pullman del Comune che accompagnava i rumeni alle loro nuove case si è trovato di fronte Adelio Locardi, il presidente (sempre in quota Ds) del comitato di quartiere, che guidava una piccola delegazione di cittadini da lui amministrati. Non si trattava esattamente di un comitato di accoglienza: l'esponente politico e gli abitanti erano fermamente decisi ad impedire la sistemazione dei nuovi arrivati. Ha dovuto intervenire la polizia, ed è finita a male parole e spintoni. Anche se le forze dell'ordine hanno avuto la meglio, si può immaginare che per le famiglie rom non sarà facile ambientarsi nel quartiere.
Il rifiuto di San Pietro non è stato un episodio isolato, né, purtroppo, quello che ha registrato le modalità più eclatanti. Lunedì sera si è sentito un vicesindaco, Michele Trombetta, gridare «camere a gas» e «forni crematori». I rom avrebbero dovuto essere sistemati nell'ex poligono di tiro che si trova in località Santa Sofia, nel comune di Torre d'Isola, a pochi chilometri da Pavia. Chiusi nei pullman, uomini, donne e bambini sono stati bloccati e quindi costretti a subire insulti e minacce. La giunta di centrodestra era appoggiata dagli abitanti (molti inneggiavano fra l'altro al più classico «Padania libera»), che per impedire il passaggio dei rom si sono stesi sull'asfalto.
In tutta la provincia, è «psicosi rom»: cascinali disabitati, fabbriche abbandonate, campi sportivi sono stati sbarrati o in vario modo occupati, per timore che la comunità della ex-Snia potesse trovarvi rifugio. Persino il quotidiano locale, la Provincia pavese, che fino a qualche settimana fa alimentava senza scrupoli questo tipo di timori della popolazione, apriva ieri con un editoriale del direttore, Pierangela Fiorani: i fatti di lunedì sera, scrive, «consegnano Pavia alla vergogna del mondo».
I rom sono fuori, non sono più un problema di Pavia: proprio ora che l'obiettivo del sindaco Capitelli sembra raggiunto, non è certo che la sua amministrazione resista. Ieri sera si è svolto un direttivo di Rifondazione comunista, che doveva decidere l'abbandono della maggioranza e della giunta. A un'ora dall'apertura dei lavori, il segretario cittadino, Pablo Genova, non aveva dubbi sull'esito della votazione. Gli equilibri interni alla federazione non garantirebbero matematicamente la mozione del segretario: la maggioranza è composta da esponenti bertinottiani e della mozione Essere comunisti, che si sono sempre schierati per il sostegno al governo della città. «Ma questa volta è questione di accoglienza», dice Genova. «La situazione è talmente grave che non si può tornare indietro».
Domani, Alberto Burgio, e Luciano Muhlbauer, rispettivamente deputato e consigliere regionale Prc, arriveranno in città per incontrare i rumeni, e quindi sottoporre la «vergogna di Pavia» all'attenzione della regione e del parlamento.