Frontex : Frontiere chiuse
Un obiettivo con poche basi legali- Intervento di
Fulvio Vassallo Paleologo su Il Manifesto
La notizia della sospensione delle operazioni Nautilus nel canale di Sicilia non sorprende. Il fallimento della missione era testimoniato dalla ripresa degli sbarchi, a fine giugno, proprio subito dopo l'avvio delle attività di Frontex tra la Libia, Malta e la Sicilia. Mentre a Bruxelles qualcuno comincia ad interrogarsi sui costi delle operazioni rispetto ai risultati conseguiti nella «guerra all'immigrazione clandestina», sono ancora incerte le basi legali sulle quali si sono avviate le operazioni di pattugliamento congiunto nel Mediterraneo. Il regolamento comunitario del 2004 che istituisce Frontex è infatti alquanto generico e le concrete modalità operative degli interventi sono definiti a livello di cooperazione tra le forze di polizia dei paesi coinvolti.
Le misure adottate a livello europeo, e soprattutto quelle disposte da agenzie tecnico-operative nel corso di operazioni congiunte come Nautilus II, o da gruppi riservati di coordinamento, a livello di forze di polizia o di rappresentanze diplomatiche, non possono risultare in contrasto con il diritto internazionale. La Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (Unclos) costituisce la fonte primaria del diritto internazionale del mare. Tra le norme che non possono essere oggetto di deroga da parte degli Stati anche mediante accordi con altri Stati va richiamato anzitutto l'art. 98 dell'Unclos, che applica il principio fondamentale ed elementare della solidarietà. Ogni Stato - si legge - impone che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nei limiti del possibile e senza che la nave, l'equipaggio e i passeggeri corrano gravi rischi, presti assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare e vada il più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà.
Varie convenzioni internazionali costituiscono un completamento della Convenzione di Montego Bay. In primo luogo, secondo l'art. 10 della Convenzione del 1989 sul soccorso in mare «ogni comandante è obbligato, nella misura in cui ciò non crei pericolo grave per la sua nave e le persone a bordo, a soccorrere ogni persona che sia in pericolo di scomparsa in mare. Gli Stati adotteranno tutte le misure necessarie per far osservare tale obbligo». La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Solas) impone al comandante di una nave «che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione».
La terza Convenzione internazionale che va ricordata riguarda la ricerca e il salvataggio marittimo. In base alla Convenzione on Marittime Search and Rescue Sar del 1979 l'autorità responsabile per l'applicazione della convenzione è il Ministro dei trasporti, mentre l'organizzazione centrale e periferica è affidata al Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto e a relative strutture periferiche. La Convenzione impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare, senza distinguere a seconda della nazionalità o dello stato giuridico, stabilendo altresì, oltre all'obbligo della prima assistenza, anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un «luogo sicuro». E' dal momento dell'arrivo in tale luogo che cessano gli obblighi internazionali (e nazionali) relativamente alle operazioni di salvataggio, che pertanto non si esauriscono con le prime cure mediche o con la soddisfazione degli altri più immediati bisogni (alimentazione etc.). Secondo le linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare adottate nel maggio del 2004 dal Comitato marittimo per la sicurezza, «il governo responsabile per la regione Sar in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito».
Soprattutto nei rapporti con Malta, la Tunisia e la Libia rimangono ancora da definire le regole d'ingaggio delle marine nel caso vengano salvati immigrati in difficoltà e questo può comportare gravi ritardi nelle operazioni di salvataggio, oltre che respingimenti collettivi verso i porti di partenza di paesi che non riconoscono la Convenzione di Ginevra o altre norme internazionali che tutelano i diritti della persona umana, con particolare riferimento ai soggetti più vulnerabili.
Fonte : Manifsto - 5 agosto 2007