La neonata rivoltosa del Cpt di Gradisca
Domenica sera, cioè alla vigilia della discussione sul codice deontologico su giornalismo e immigrazione, a Gradisca d'Isonzo è scoppiata una rivolta degli ospiti del locale Centro di permanenza temporanea. L'ennesima rivolta. Nei quindici giorni precedenti ce n'erano già state altre due. Una situazione allarmante. Tanto che, appena due giorni prima, le autorità locali avevano chiesto al governo un aumento dell'organico delle forze dell'ordine.
Forse è stato per questo clima di allarme che domenica le forze dell'ordine, ormai dichiarate ufficialmente "insufficienti", hanno agito in modo da dimostrare d'essere comunque in grado di cavarsela. Hanno usato i lacrimogeni. Sarebbe stata una normale, anche se un po' rude, operazione di contenimento di una sommossa se il gas dei lacrimogeni - evidentemente ignaro delle disposizioni di legge - non avesse confuso il Centro di permanenza temporanea col confinante Centro di prima accoglienza per andare ad avvolgere una bambina eritrea di otto mesi, figlia di una donna che aveva appena presentato la domanda per l'asilo politico.
La notizia della neonata intossicata è stata lanciata per la prima volta dall'Ansa alle ore 8,04 di lunedì, meno di un'ora prima che cominciasse la discussione sulle regole alle quali i giornalisti dovrebbero attenersi quando si occupano di immigrati e, in particolare, di rifugiati politici. Una discussione sulla quale pesano le perplessità, per esempio, dell'Unci, l'Unione cronisti italiani, che vede nella stessa esistenza di un codice deontologico un pericolo potenziale per la libertà di stampa.
Naturalmente la concomitanza tra i due eventi - intossicazione della neonata e dibattito - è del tutto casuale. E' infatti una di quelle diaboliche coincidenze che a volte danno ai fatti di cronaca la forma della parabola.
Mentre si ragionava sull'opportunità di suggerire agli operatori dell'informazione di non enfatizzare a sproposito la nazionalità dei criminali, o di non confondere l'etnia con la religione, o di non pubblicare informazioni private idonee a mettere e rischio la sicurezza degli esiliati politici, si verificava un evento raro, se non unico, nella storia recente dell'ordine pubblico. E questo fatto veniva riportato sommariamente, quasi sempre senza commenti, non da tutti i giornali né da tutte le televisioni.
La bambina per fortuna sta bene. Dopo una notte di osservazione è stata dimessa assieme alla madre. Caso chiuso, dunque. Il fatto che un'esiliata politica si trovasse in un luogo a rischio, dove si erano già verificati episodi di violenza, assieme alla figlia di pochi mesi, è evidentemente considerato "poco notiziabile", cioè di routine. Un po' come quell'altra faccenda, accaduta la settimana prima alla metropolitana di Roma: una rumena quarantenne gettata sui binari e ridotta in fin di vita da una donna italiana. Chi ha letto con attenzione le cronache locali, di certo l'ha letta. Forse qualcuno avrà trovato qualche analogia con un'altra vicenda, eguale e contraria, avvenuta a Roma, sempre nella metropolitana, alcuni mesi fa. Se ne parlò per settimane.
Ecco una rassicurazione per i colleghi perplessi a proposito del codice deontologico. E' assolutamente impossibile che quelle ovvie regolette possano diventare un limite alla nostra libertà. Il luogo nel quale la esercitiamo veramente non è nello scrivere le notizie. Ma nel darle. O nel non darle.
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