Ciò che sfugge a molti commentatori è che comunque le persone che hanno commesso un reato, dopo un tempo più o meno lungo, rientreranno nella società. Ed è interesse della società, cioè di tutti noi, che esse abbiano avuto modi e tempi per vivere un'esperienza non di annientamento ma di ricostruzione graduale di una propria vita
Il principio secondo cui l'esecuzione di una pena non è un mero fatto aritmetico, ma la costruzione di un percorso verso il ritorno alla società, nasce nel pensiero giuridico europeo e si sviluppa in base a un criterio di utilità. Un'utilità centrata proprio sul concetto di sicurezza: una società è più sicura se chi ha commesso un reato può tornarvi, riannodando i fili che il reato ha reciso, dopo aver trascorso non un semplice tempo segregato, ma un tempo caratterizzato sia dall'afflizione propria della privazione della libertà, sia dalla costruzione di consapevolezza e capacità di reinserimento.
Da qui nasce l'idea di un tempo di detenzione da percorrere a tappe, con misure che scandiscano questo cammino verso il rientro: con l'osservazione in carcere, i benefici penitenziari, le misure alternative alla detenzione. Perché ciò che sfugge a molti commentatori è che comunque le persone che hanno commesso un reato, dopo un tempo più o meno lungo, rientreranno nella società. Ed è interesse della società, cioè di tutti noi, che esse abbiano avuto modi e tempi per vivere un'esperienza non di annientamento ma di ricostruzione graduale di una propria vita.
In Italia è nata da qui la proposta ormai più che ventennale, divenuta poi legge e sempre citata dal nome di un fine intellettuale e uomo di grande sensibilità quale è stato Mario Gozzini. Non da buonismo né da sottovalutazione del problema della prevenzione dei reati e della loro punizione. Al contrario, nacque proprio dal desiderio di garantire le diverse dimensioni in cui si articola il termine, semplice solo apparentemente, sicurezza: sicurezza per chi vuole essere difeso dal crimine, per chi vuole vedere i propri diritti garantiti, per chi vuole un percorso detentivo rispondente a quanto stabilito dalla legge, per chi vuole essere ricompreso nel consesso sociale dopo aver pagato il proprio debito senza essere inchiodato al proprio errore.
In altri paesi l'adozione di misure alternative alla detenzione ha seguito altri percorsi, ma gli esiti sono stati simili: la pena deve essere legale, e deve essere certa, ma ciò non implica che debba essere rigida e fissa, solo scandita dallo scorrere del tempo, perché la realtà individuale di chi la sconta muta e proprio nel tempo della pena occorre saper offrire strumenti per una direzione positiva di tale mutamento. Questi provvedimenti hanno dato - lo sa anche chi vorrebbe cancellarli - buona prova di saper funzionare in questi decenni. Se è giusto non diminuire la gravità di ogni singolo episodio, tanto più quando questo poteva essere causa di danni alle persone o di morte, è altrettanto giusto riconoscere l'esistenza della stragrande maggioranza di esiti positivi proprio di quelle misure oggi additate come nefaste.
La statistica non ripaga, è vero. Ed è argomento debole rispetto all'emotività degli episodi. Però dovrebbe essere davvero oggetto di un'attenzione più forte, soprattutto quando si riferisce alla valutazione di fenomeni sociali che coinvolgono persone, vite: fenomeni dove lo zero assoluto non può esistere.