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Nelle prigioni italiane ci sono oggi poco più di 46 mila detenuti. Un numero di poco inferiore agli abitanti di Rieti e di poco superiore a quelli di Biella. 46 mila persone non sono un problema di risorse, siano essi i detenuti italiani o il totale dei reatini o dei biellesi. La tutela della loro salute è solo un problema di organizzazione, di volontà politica, di scelte normative. Nel 1999 l'allora ministro della Salute Rosy Bindi dette avvio alla riforma della medicina penitenziaria sino ad allora alle dipendenze strette del ministero della Giustizia. Previde che strumenti, soldi e medici dovessero passare al servizio sanitario nazionale. Resistenze, negligenze, inadempienze si sono protratte per otto anni, impedendo il buon esito della riforma. Ora si attende il primo gennaio 2008, data che dovrebbe segnare il fatidico passaggio di competenze. Così il medico potrà ragionare da medico, operare da medico, obiettare come fa un medico. Risponderà del suo lavoro ad un altro medico. Potrà assomigliare più al medico di fiducia che a un poliziotto vestito di bianco. La salute dei detenuti rischierà in tal modo di essere meno succube di reali o fittizie esigenze di sicurezza.
Resta infatti tra le pagine tragiche dell'amministrazione della giustizia quella dell'infermeria di Bolzaneto con medici, poliziotti e generali tutti insieme a organizzare su larga scala trattamenti che la magistratura non ha esitato a definire inumani o degradanti. Eppure la tortura non è stata ancora elevata a rango di reato. Inutilmente sono passati vent'anni da quando l'Italia si era impegnata a farlo in seno alle Nazioni Unite.
Il diritto alla salute in carcere si protegge con adeguati interventi diagnostici e terapeutici. Si protegge anche con misure e azioni preventive. L'affollamento e l'assenza di riservatezza, l'ozio forzato e la noia, il distacco sociale e affettivo da parenti e amici, la sessualità negata sono l'origine del disagio psichico che colpisce percentuali elevatissime di detenuti, curati e neutralizzati a suon di psicofarmaci. Nel frattempo sui media si continua a chiedere sicurezza, più galera per i tossicodipendenti, per i rumeni, per i clienti delle prostitute, per i vagabondi, per i lavavetri.
Il prossimo 12 ottobre va in Consiglio dei ministri il pacchetto sicurezza targato Giuliano Amato. Un pacchetto sicurezza che, se le indiscrezioni saranno confermate, ammazzerà definitivamente ogni potenzialità riformatrice che c'era dietro il provvedimento di indulto. La sinistra si sta rinchiudendo in un orribile cul de sac. La criminalizzazione della miseria porterà in galera nuove decine di migliaia di persone. Tutto questo sta avvenendo senza che nessuno reagisca. La Chiesa è tutta impegnata sul fronte dell'antirelativismo etico, i mass media seminano paura, i partiti inseguono la Chiesa e i mass media. Per approssimazione si può dire che oggi più o meno un milione di persone sono impegnate attivamente nel terzo settore. A quel milione di persone che - con contratti di solito precari - si occupano dei cosiddetti ultimi della società (quelli presi di mira dall'ordinanza Cioni e dal pacchetto Amato) oggi si deve chiedere di far sentire la loro voce, affinché si affranchino dal ricatto economico privato e pubblico e dicano con forza il loro no alla criminalizzazione delle povertà diffuse, loro che di povertà si occupano. Alle loro centrali cooperative chiediamo di riprendere a fare politica e di opporsi alla definitiva e drammatica trasformazione dello stato sociale in stato carcerario.