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In Italia l'esame genetico è già realtà ma il Garante ha messo i paletti
Il test non è obbligatorio ma assicura una procedura più veloce e i numeri crescono. L'Autorità per la Privacy è però intervenuta nei mesi scorsi per imporre che i risultati vengano distrutti
Cinzia Gubbini
Roma
In Italia l'utilizzo del test del dna per gli immigrati che vogliono ricongiungersi con i loro famigliari è già realtà, tra sponsor e detrattori. La prima sperimentazione risale al 2001, con il «caso somali». Per loro l'esame genetico era e resta l'unica possibilità per ottenere un «visto» di ricongiungimento: in Somalia, infatti, non ci sono consolati stranieri. Ma visto il «grande successo» di quell'esperimento - questo almeno il tono di una circolare del ministero degli esteri inviata il 22 dicembre del 2005 a tutte le ambasciate italiane - la pratica ora è estesa a tutti i paesi. Ad occuparsene è l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, l'Oim. Ovviamente sottoporsi al prelievo di un tampone di saliva non è obbligatorio. Tuttavia la procedura per chi decide di sottoporsi al test è decisamente più veloce, tanto da rendere questa soluzione la più conveniente. Basti considerare che nelle grandi città per riuscire a completare l'iter del ricongiungimento si supera tranquillamente l'anno di attesa. Invece basta farsi infilare un tampone tra la gengiva e la guancia et voilà il responso arriva in due settimane. Senza contare che l'esame può rappresentare l'unica chance per chi si trova in mano con documenti considerati «inaffidabili» (termine piuttosto generico) dalle autorità italiane. Sarà per questo che il numero delle persone che optano per l'analisi del dna è in rapida crescita. Anche se non manca il dubbio che nei consolati italiani questa opzione sia presentata praticamente come obbligatoria vista la mole di lavoro che fa risparmiare. Comunque sia, i numeri salgono: nel primo semestre di quest'anno sono state 800 le persone che si sono rivolte all'Oim per sottoporsi alla procedura. In pratica a metà dell'anno è stato quasi raggiunto il numero totale dell'anno precedente: mille persone. Si registra, inoltre, una presenza notevole di alcune nazionalità, tra cui i cinesi: 360 sul totale dei primi sei mesi del 2007.
Il test non è gratis, ma a carico dell'immigrato: 155 euro a persona (quindi 310 euro per una mamma e un figlio che vogliano raggiungere il «capofamiglia» In Italia) più 90 dollari che la persona richiedente nel paese straniero deve versare all'Oim incaricata di seguire la pratica in collaborazione i nostri consolati. Fanno eccezione casi particolari, come i rifugiati, per i quali il test è gratuito. Ma, comprensibilmente, molte associazioni guardano con sospetto a questa pratica. Simona Moscarelli, responsabile del progetto per l'Oim, invece difende la procedura: «Aiuta moltissime persone a ottenere il ricongiungimento nel più breve tempo possibile e evitando di dover sottostare a eventuali richieste di soldi per ottenere i documenti. Eppoi c'è poco da scherzare: i traffici di bambini esistono, ci sono stati casi di minori entrati in Italia con il ricongiungimento che sono stati trovati a lavorare negli alberghi per 12 ore. Un controllo rigoroso sul fatto che un bambino sia affidato alle mani del vero genitore è necessario».
Ma i detrattori dell'esame del dna - per la verità niente di paragonabile al terremoto francese - guardano più che altro al prossimo futuro: per ora il dna non è brevettabile, ma cosa accadrà se un giorno dovesse diventarlo? Chi può assicurare che non sia in corso una specie di schedatura genetica degli immigrati? Non c'è bisogno di proiettarsi in «Next», l'ultimo romanzo di Crichton, per temere nuovi traffici e affari, quelli sul business genetico. L'Oim si affida al «Laboratorio Genoma» di Roma, nato nel 1998 e che già conta un numero di prestazioni annue superiore alle 15 mila. E' qui che vengono spediti i campioni raccolti la mattina alla sede nell'Oim e quelli recapitati tramite dhl dai vari consolati. Fino a poco tempo fa i risultati venivano conservati, catalogati con un codice che poteva essere facilmente ricondotto alla persona. Per l'Oim era un modo per non far pagare nuovamente l'immigrato che avesse voluto chiedere un altro ricongiungimento. Ma su questo punto è intervenuto recentemente il Garante della Privacy ravvisando un problema di tutela, e ora i risultati vengono distrutti dopo l'approvazione della pratica.
C'è poi una questione meno legata a scenari futuribili ma a aspetti culturali. Paternità e maternità sono concetti che cambiano alle diverse latitudini. Quelle «genetiche» sono ancorate alla moderna forma mentis occidentale. In molti paesi del sud del mondo è ancora diffusa l'abitudine a crescere i figli di parenti come se fossero propri. Senza contare che in tutto il mondo la madre è sempre certa, il padre no. Nella sede dell'Oim sono capitati casi spiacevoli: uomini convinti che il figlio fosse loro, spiazzati da un test del dna risultato negativo. «Certo può capitare - spiega Moscarelli - per questo abbiamo a nostro servizio un counselling psicologico, e siamo molto attenti a spiegare alle persone che decidono di sottoporsi al test a cosa vanno incontro. D'altronde possono sempre decidere di seguire la strada burocratica».