BARI - La domanda per la carta di soggiorno è ferma da mesi e la Questura dice che Poste non gliel'ha ancora girata? Il ministero dell'Interno è comunque responsabile: si muova e paghi pure le spese legali.
Così hanno deciso i giudici del Tar di Bari, accogliendo poche settimane fa il ricorso presentato da una coppia di cittadini indiani. Una storia che potrebbe avere come protagonisti migliaia di stranieri in Italia.
"La domanda non c'è"
All'inizio dello scorso febbraio, dopo anni di residenza regolare, Baldev Singh (nome di fantasia) decide di chiedere per sé e per sua moglie Lali il permesso da soggiornanti di lungo periodo, cioè la nuova carta di soggiorno, sul quale potrà essere iscritto anche il loro bambino. Compila quindi i moduli con l'aiuto di un patronato e li infila, secondo le istruzioni, in un unico kit che consegna all'ufficio postale.
Inizia così l'attesa, ma i mesi passano senza nessuna novità. A poco serve collegarsi al "Portale immigrazione": nel sistema non c'è traccia della domanda di Baldev, risulta registrata solo quella di Lali e tra l'altro è inesorabilmente bloccata al CSA di Poste Italiane. A complicare la situazione c'è che madre, padre e figlio hanno in mano una sola ricevuta, intestata a Baldev, e quindi Lali, quando il suo permesso scade, si vede costretta a chiedere il rinnovo ( e a pagare altri 70 euro) per non rischiare di rimanere senza un documento in tasca.
Si arriva così a questa estate, quando la famiglia Singh, stanca di aspettare, decide di rivolgersi alla giustizia.
Il ricorso
Il ricorso preparato dagli avvocati Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti e Tiziana Sangiovanni chiama in causa la Questura di Bari e di conseguenza il Ministero dell'Interno, che non avrebbe risposto alla richiesta di carta di soggiorno entro i 90 giorni previsti dalla legge 241/1990. Questa esclude infatti che i procedimenti amministrativi possano protrarsi a tempo indeterminato con buona pace dei cittadini.
La difesa della Questura è disarmante e un po' pilatesca: non ha risposto, spiega l'avvocatura dello Stato, perché non ha mai ricevuto alcuna domanda, né riesce a trovarne traccia sul "Portale Questure", il sistema informatico accessibile solo agli operatori di Polizia. La colpa, insomma, viene scaricata su Poste, che terrebbe la pratica dei Singh parcheggiata dei suoi magazzini.
Una tesi non condivisa dai giudici del Tar, secondo i quali, convenzione con Poste o no, il ministero dell'Interno non può sottrarsi alle sue responsabilità: i Singh hanno presentato domanda, come dimostra la loro ricevuta, e di conseguenza hanno diritto a una risposta. Nella sentenza si ordina quindi alla Questura di provvedere entro 30 giorni, e si condanna il ministero dell'Interno a versare 2000 euro alla famiglia indiana per coprire le spese legali che questa ha sostenuto.
"Un principio generale"
"È abbastanza inconsueto che il Tar condanni una sola parte al pagamento di tutte le spese, è un elemento in più che forse sottolinea che qui si era superato il limite della ragionevolezza" commenta l'avv. Marco Cuniberti, professore associato di diritto dell'informazione e dell'informatica all'università di Milano. "Credo che il ministero farebbe bene a rivedere i termini dell'accordo con Poste".
Quanto successo a Bari può essere un precedente importante anche per altri cittadini stranieri? "Credo che al di là della particolarità del caso, questa sentenza abbia un valore generale. - Il principio affermato dal Tar è che l'esame delle domande non può durare all'infinito, indipendentemente dal sistema utilizzato. Scaduti i termini, il silenzio dell'amministrazione è illegittimo. Il ragionamento quindi vale anche per il rinnovo del permesso di soggiorno, che tra l'altro dovrebbero arrivare entro 20 giorni" dice ancora Cuniberti.
Insomma, se tutti quelli che attendono da mesi il rinnovo decidessero di fare ricorso al Tar, per il Viminale si metterebbe male. Lasciare trenta euro a Poste per il servizio, incassarne una quarantina in tasse e poi doverne rimborsare duemila, non è quello che si definisce un buon affare…
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