Sopprimere i tribunali militari, senza nel contempo provvedere,
in un modo o nell'altro, per non vanificare le attività finora svolte,
equivarrebbe a richiudere di nuovo – addirittura a sprangare -
l'Armadio della vergogna: chi se ne vuole assumere la responsabilità?
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Chi vuole richiudere
l'armadio della vergogna?
di Silvia Buzzelli
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Una delle tante
polemiche estive quest'anno ha riguardato i Tribunali militari, meglio
la loro inutilità: sono troppi e troppo costosi, composti - per di più
- da magistrati nullafacenti.
Ecco allora comparire la parola
“decurtazione”, insieme all'ipotesi di un accorpamento: andrebbero cioè
soppressi alcuni Tribunali e le relative Procure (Torino, La Spezia,
Padova, Cagliari, Bari, Palermo); per l'area del Centro-Nord, ad
esempio, vi sarebbe la contestuale assunzione di competenza
territoriale da parte del Tribunale di Verona.
All'apparenza, solo
all'apparenza, l'intento è lodevole. Il carico di lavoro di questi
tribunali, sospesa la chiamata di leva, ha subìto una rilevante
diminuzione. La loro decurtazione potrebbe condurre a notevoli risparmi
di spesa, grazie alla riduzione delle dotazioni organiche dei
magistrati militari e del personale ausiliario, con il corrispondente
transito delle unità eccedenti nei ruoli della magistratura ordinaria e
del Ministero della giustizia. Inizialmente la stessa riforma
dell'ordinamento giudiziario aveva previsto qualcosa di simile, poi vi
era stato uno stralcio da parte del Senato.
In sintesi: bisogna
contenere i costi della giustizia militare; così si legge nel resoconto
della seduta del 10 luglio di quest'anno della Commissione IV della
Camera; così si ritrova nel progetto di Finanziaria 2008, attualmente
in fase di discussione al Parlamento.
Nessuno, o quasi (un
allarme è stato lanciato da Donatella Bortolazzi del gruppo consiliare
PdCI, in Emilia-Romagna), sembrerebbe accorgersi della terribile
conseguenza occultata dai grovigli della legge finanziaria, fatta di
articoli ed emendamenti pressochè incomprensibili. Dietro il rigido
tecnicismo, c'è infatti una modifica che dovrebbe far rabbrividire
almeno chi è convinto di vivere (e soprattutto intende continuare a
vivere) in una Repubblica nata dalla Resistenza.
Il riordino della
magistratura militare è di sicuro necessario, peraltro lo si attende da
decenni; a cavallo degli anni '70/80 si tentò pure, con la via
referendaria, di sopprimere l'intero ordinamento giudiziario militare
(la Corte costituzionale con la sentenza n. 25 del 1981 dichiarò una
consultazione ammissibile).
Ma avviare ora questo riordino,
procedendo in maniera disordinata e incosciente (ad essere ottimisti),
in modo lucido e colpevole (ad essere pessimisti), porta comunque
sempre al medesimo risultato: quello di cancellare indagini complesse e
processi ancora pendenti.
E non si tratta, sia ben chiaro, di
qualche vicenda secondaria: in gioco ci sono quei fascicoli che,
seppelliti per quarantanni nel cosiddetto “armadio della vergogna”,
hanno rivisto la luce solo da poco. Le sentenze relative ai fatti di S.
Anna di Stazzema e di Marzabotto sono state emesse nel 2007 dal
Tribunale militare di La Spezia (uno di quelli destinati a scomparire),
grazie agli sforzi investigativi della Procura. Al momento c'è un
dibattimento in corso per la strage di Montecatini che difficilmente
potrà concludersi entro la metà del 2008, termine fissato per
l'accorpamento dei tribunali stessi. E ci sono altre indagini avviate -
per le stragi di Vinca, Stia, Vallucciole con centinaia di morti,
ammazzati, torturati - come ricorda sommessamente il procuratore
militare, dottor De Paolis, in un'intervista.
Il Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano ha ribadito, qualche giorno fa, che
quanto accaduto a Marzabotto (ma il discorso vale per tutti i luoghi
della geografia del dolore) deve rimanere inciso nelle coscienze: è
poco, si ha l'impressione. Occorre anche oggi, nonostante il
trascorrere del tempo suoni come una beffa, una ricostruzione minuziosa
dei fatti, occorre l'accertamento delle responsabilità penali.
Occorrono insomma sentenze, perché solo le sentenze pronunciate dai
giudici contengono un'intestazione che nessun documento scritto da uno
storico, nessuna intervista comparsa su un quotidiano potrà mai,
assolutamente, possedere. E' il requisito che l'art. 546 del codice di
procedura penale – senza retorica e con linguaggio scarno - pone al
primo posto: «in nome del popolo italiano».
E pensare che un
rimedio ci sarebbe: quello (è solo un esempio) di ampliare i termini di
durata massima delle indagini preliminari come si fece relativamente ad
alcuni tra i più gravi atti di strage e terrorismo degli anni '60/80
(Milano, Brescia), verificatisi prima dell'entrata in vigore del nuovo
codice di procedura penale del 1988.
Sopprimere quindi i tribunali
militari, senza nel contempo provvedere, in un modo o nell'altro, per
non vanificare le attività finora svolte, equivarrebbe a richiudere di
nuovo – addirittura a sprangare - l'Armadio della vergogna: chi se ne
vuole assumere la responsabilità?
Silvia Buzzelli
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la strage di Bettol |