Che i quotidiani
abbiano di recente riferito di un memo segreto della Cia sulle tecniche
di tortura dei prigionieri è poca cosa, purtroppo davvero poca cosa
rispetto a quello che sta succedendo. Nell'aria c'è di più, e prende la
forma di un vero e proprio attacco sferrato contro i diritti
individuali, contro il potere giudiziario (non genericamente i giudici
o la magistratura), quindi contro la società democratica.
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I cani da guardia della democrazia
non stanno abbaiando
di Silvia Buzzelli
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Che i quotidiani
abbiano di recente riferito di un memo segreto della Cia sulle tecniche
di tortura dei prigionieri è poca cosa, purtroppo davvero poca cosa
rispetto a quello che sta succedendo. Nell'aria c'è di più, e prende la
forma di un vero e proprio attacco sferrato contro i diritti
individuali, contro il potere giudiziario (non genericamente i giudici
o la magistratura), quindi contro la società democratica.
La parola “attacco” è forte e, allora, merita un chiarimento.
E'
stata avviata, addirittura ormai si sta portando a termine, una
campagna di legittimazione della tortura in nome di uno stato
d'emergenza permanente (gran bella contraddizione in termini:
l'emergenza è sempre limitata nel tempo e ha cause specifiche).
Specialmente con il
Military Order del 13 novembre 2001 e con l'
Usa Patriot Act
(varato dal Senato statunitense il 26 ottobre 2001) si possono violare
i diritti; diritti che, stando alle Carte internazionali e alla nostra
Costituzione, violabili non sono, primo fra tutti quella garanzia che,
a partire dalla
Magna Charta Libertatum emanata nel 1215 da re Giovanni Senza Terra, va sotto il nome di
habeas corpus:
«
nessun
uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua...
libertà… messo fuori legge, esiliato, molestato in nessuna maniera, e
noi non metteremo né faremo mettere la mano su di lui, se non in virtù
di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese».
Si può fare invece: in fondo così è stato scritto sulla prima pagina di uno dei giornali italiani più autorevoli (il
Corriere della Sera)
e per giunta da un docente universitario (Angelo Panebianco) che ha
giustificato il ricorso a mezzi inumani e degradanti nei confronti dei
terroristi. E stato scritto dunque, e lo scandalo autentico è che,
nella Patria di Verri e di Beccaria, nessuno si sia scandalizzato: per
l'esattezza ha risposto Gian Carlo Caselli, mentre Magistratura
Democratica ha sottoscritto un documento; le solite "toghe rosse",
direbbe qualche benpensante, niente di più. Dal canto suo, il
Parlamento non ha lanciato segnali, anzi: le proposte per inserire il
reato di tortura nel codice penale si sono arenate (a differenza del
Belgio che ha, nel 2002, aggiunto ben tre nuovi articoli nel proprio
codice penale, configurando un'aggravante quando un fatto di tortura
sia commesso da un pubblico ufficiale o da un funzionario o agente
della forza pubblica che agisca nell'esercizio delle sue funzioni).
Torturare
si può e per legge; non è più uno sporco affare come ai tempi della
guerra d'Algeria o come durante la dittatura cilena di Pinochet e dei
generali argentini (i quali per evitare le incriminazioni sono stati
costretti a introdurre le “leggi sull'obbedienza dovuta” poi dichiarate
illegittime). Le tecniche e lo “splendore dei supplizi” tornano ad
avere una base legale: non succedeva più dall'Inquisizione, dai
processi medioevali contro gli eretici: al loro posto adesso abbiamo
gli
aliens, gli stranieri nemici combattenti da rinchiudere a
Guantanamo, o come detenuti ad alto livello HVD in qualche prigione
segreta della Cia in Polonia e Romania. Gli ingredienti delle vicende
attuali sono spaventosamente simili a quelli dell'ordinanza firmata dal
Maresciallo Keitel, nel dicembre 1941, per avviare in Francia il regime
nazista di deportazioni “Notte e nebbia”: «... che i sospettati vengano
trasferiti clandestinamente per essere interrogati in Germania…».
Ma
non basta. La lesione delle garanzie individuali va di pari passo con
il disprezzo per il potere giudiziario che, val la pena di ricordare,
continua a essere senza paragone il potere più debole, in difesa del
quale debbono adottarsi delle precauzioni per preservarlo dagli
attacchi degli altri due poteri: esecutivo (Governo) e legislativo
(Parlamento). Parole vecchie, molto vecchie, scritte nel
Federalist da Alexander Hamilton che collaborò alla stesura, a fine Settecento, della Costituzione nordamericana.
Quanto
saggio fosse Hamilton lo si capisce guardando gli sviluppi del storia
che ha per protagonista-vittima Abu Omar, rapito a Milano nel febbraio
2003 da uomini appartenenti alla Cia e ai servizi italiani, poi
trasferito con volo segreto in Egitto e torturato. Con il sequestro
egli è stato sottratto alla magistratura milanese che stava indagando
su di lui per fatti di terrorismo; negando la richiesta di estradizione
dei medesimi agenti Cia dagli Usa, il ministro della Giustizia italiano
ha impedito ancora alla magistratura di perseguire i possibili
responsabili di una sottrazione forzata; coprendo con il segreto di
stato l'intera vicenda Abu Omar, il nostro Governo sta cercando (la
questione dovrà essere decisa dalla Corte costituzionale) di
giustificare sulla base dei «rapporti con gli alleati» la cancellazione
del principio di obbligatorietà dell'azione penale che l'art. 112
Costituzione attribuisce al pubblico ministero. Insomma, il potere
politico pare davvero sregolato, cioè senza regole: qualche volta
insulta pesantemente i magistrati (su Armando Spataro sono state
riversate parole irripetibili), qualche altra intralcia le loro
indagini sulle condotte illecite dei servizi di
intelligence,
opponendo poi un segreto di stato che per legge (art. 12 comma 2 legge
n. 801 del 1977) non dovrebbe mai coprire fatti eversivi dell'ordine
costituzionale: cos'altro sono se non fatti eversivi le gravi
violazioni dei diritti dell'uomo?
Insomma, l'intrigo internazionale che ruota intorno al caso Abu Omar e, più in generale, al programma di
extraordinary renditions
(consegne straordinarie) avviato dalle autorità statunitensi con la
collaborazione di «partner europei ufficiali riconducibili ai governi»
è allarmante e non solo perché si è creato un sistema statale di
rapimenti, voli, detenzioni, maltrattamenti e torture, gestito dai
servizi segreti
.
E' accaduto: ci sono testimonianze delle
vittime e di alcuni componenti, ancora attivi e non, dei servizi
segreti, ci sono analisi delle sequenze dei dati internazionali
relative alla gestione e alla pianificazione dei voli. E' accaduto, e
per rendersene conto basta cliccare sul sito ufficiale del Consiglio
d'Europa (
www.coe.int) e leggere tutto il materiale del Dossier “Detenzioni segrete”.
Se
è così semplice rinvenire la documentazione, amplissima, come mai la
nostra stampa, tranne qualche eccezione, in questi anni non ne ha
parlato? Ecco qui, pertanto, l'altro motivo d'allarme: la stampa,
secondo una bella ed efficace definizione che si trova scritta in tante
sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, è «il cane da
guardia della democrazia»; e i cani da guardia, si sa, azzannano o
almeno, prima di farlo, abbaiano, abbaiano forte per avvertire del
pericolo imminente.
Il sospetto è inquietante: che i cani da guardia italiani si siano addormentati? Qualcuno ha dato loro una polpetta?
Silvia Buzzelli
17 ottobre 2007