ROMA -Bulgare e romene che si trovano in Italia non dovranno più pagare per partorire o abortire negli ospedali italiani. Dopo le polemiche sulla circolare dell'agosto 2007 sulle cure per i neocomunitari, che ha spinto alcune Regioni a chiedere parcelle salate a molte pazienti comunitari, il ministero della Salute fa marcia indietro. In un comunicato fa sapere che anche chi è presente nel nostro paese senza assicurazione e non è iscritto al Servizio sanitario nazionale potrà ricevere "le prestazioni relative alla tutela della salute dei minori" e "alla tutela della maternità, all'interruzione volontaria di gravidanza, a parità di condizione con le donne assistite iscritte al Sistema sanitario nazionale". Inoltre verranno rivolte anche a loro le "campagne di vaccinazione, gli interventi di profilassi internazionale e la profilassi, diagnosi e cura delle malattie infettive".
Il problema era emerso in questi giorni, in seguito a un allarme lanciato dai ginecologi degli ospedali. Dal primo gennaio 2008 molte romene o bulgare, in Italia senza un regolare contratto di lavoro, si sono trovate di fronte a parcelle di 800 euro per un’interruzione di gravidanza e di 2.500 per un parto. Soldi che donne senza reddito avevano difficoltà a trovare, con il conseguente rischio di un aumento degli aborti clandestini. Ma in questi mesi la maggior parte delle Regioni, tranne Marche e Piemonte, hanno chiesto il rimborso degli interventi alle pazienti, applicando la circolare alla lettera.
Solo Marche e Piemonte hanno continuato a curare i neocomunitari fornendo loro il codice Eni ovvero europeo non in regola. Il metodo si avvicina al tesserino Stp (Straniero temporaneamente presente), un documento destinato agli immigrati irregolari e che romeni e bulgari potevano usare per curarsi nelle strutture ospedaliere fino al 2007.
Ora il ministero chiarisce che nelle prestazioni indifferibili e urgenti che fino a oggi ha assicurato anche ai neocomunitari non assicurati ci sono anche la tutela dei minori, quella della maternità e l’Ivg (Interruzione volontaria di gravidanza).
“Di tutte queste prestazioni dovrà essere tenuta, da parte delle Asl, una contabilità separata, da cui risulti l'identità del cittadino comunitario e le cure ricevute, di cui si terrà conto per l'azione di recupero e negoziazione nei confronti degli Stati competenti in sede comunitaria o diplomatica – si legge ancora nel comunicato - . Sono infatti in corso con le autorità sanitarie dei paesi neocomunitari trattative per una regolamentazione delle procedure e dei rapporti contabili relativi alla mobilità sanitaria internazionale”.
Il ministero chiede inoltre alle Regioni di assicurare alle aziende sanitarie ed ospedaliere un adeguato supporto per una omogenea e uniforme applicazione della normativa vigente al fine di assicurare una piena tutela del diritto alla salute. Va inoltre "ricordato che uno dei principi sanciti dai regolamenti comunitari di sicurezza sociale è quello della parità di trattamento - spiega ancora la nota - tra l'assistito di uno Stato che si trova in un altro Stato-membro con gli assistiti di questo ultimo".
Nei primi mesi del 2008 il problema della cura dei neocomunitari senza contratto di lavoro e in particolare quello dell’Ivg e della tutela della maternità era stato segnalato da varie Regioni e da associazioni come l’Asgi (Associazione per studi giuridici sull’immigrazione).
Solo qualche mese dopo si è infine deciso di garantire anche ai neocomunitari “le stesse condizioni di tutela della salute riservate agli iscritti al Servizio sanitario nazionale”.