Gennaio 2008
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ROMA – Tregua apparente. I migranti morti lungo le frontiere dell’Unione europea nel mese di gennaio 2008 sono almeno 22, in Spagna, Sahara occidentale, Algeria, Grecia, Italia e Turchia; 11.778 le vittime dal 1988. Un dato in netto calo rispetto alle oltre 243 vittime censite a dicembre. Ma la situazione alle frontiere è tutt’altro che rosea. Rivolte nei campi di detenzione dei migranti in Francia, Grecia, Cipro e anche in Italia, dove a Cassibile sono stati arrestati cinque richiedenti asilo per aver bloccato i cancelli del centro in segno di protesta. Continuano i respingimenti dei profughi da Ancona e Venezia verso Patrasso, dove la polizia greca sta deportando centinaia di rifugiati verso la Turchia. Un nuovo rapporto della Commissione Libe attacca le condizioni di detenzione a Malta. E intanto la Libia, che ha appena firmato un accordo con Malta, dopo quello con l’Italia, annuncia l’imminente deportazione di un milione di stranieri, tra i quali potrebbero finire anche i 600 rifugiati eritrei detenuti da ormai due anni a Misratah. La stessa sorte toccata ad almeno 4.000 richiedenti asilo eritrei rimpatriati dal Sudan, secondo il Sudan Tribune. Per loro, come testimonia l’esclusivo video recentemente diffuso da Fortress Europe, la prospettiva è quella di anni di carcere e torture. Come spetta ai traditori di un esercito in guerra.
Omicidio. Mariano Ruggiero, 46 anni, è finito in carcere con questa accusa. I fatti risalgono alla notte del 10 gennaio. Cinquanta miglia a sud di Lampedusa, un gommone con a bordo 60 profughi somali incrocia il peschereccio barese comandato da Ruggiero. Uno dei profughi si tuffa in mare e raggiunge a nuoto il peschereccio per chiedere soccorso. Ma Ruggiero non lo vuole a bordo e dopo una colluttazione lo butta in mare. L’uomo annega. Il suo corpo scompare tra le onde. A denunciare l’accaduto sono gli altri profughi, una volta arrivati a Lampedusa. La versione è confermata dagli altri quattro uomini dell’equipaggio. Si tratta di un episodio senza precedenti. Il 14 gennaio 2008, il Gip di Agrigento convalida l’arresto di Ruggiero. Lo stesso giorno, il tribunale di Agrigento ospita le udienze di altri due processi, niente affatto distinti dal caso Ruggiero. Quello contro i sette pescatori tunisini e quello della Cap Anamur. Ovvero i due processi simbolo contro il soccorso in mare. Due processi che hanno insegnato ai pescatori a girare alla larga dalle barche dei migranti per non avere guai giudiziari. Gli stessi guai che forse anche Ruggiero voleva evitare.
Radar contro le stragi? Delle 22 vittime censite a gennaio, 18 erano dirette in Spagna. Si continua a morire, nonostante il sistema integrato di vigilanza Sive, una rete che conta 23 stazioni radar lungo la costa andalusa e altre 27 nelle Canarie (di cui 16 in costruzione). Un sistema capace di distinguere un oggetto di mezzo metro a una distanza di 21 km dalla costa e quindi di rendere più celeri i soccorsi. Peccato però che per sfuggire agli occhi del Sive i migranti si avventurino su barche sempre più piccole, che sotto il soprappeso navigano al pelo dell’acqua e sono invisibili ai raggi infrarossi dei radar, nascoste dalle creste delle onde. Come la barca arrivata a Conil il 22 gennaio e capovoltasi a un metro dalla spiaggia o quella naufragata a Barbate all’inizio dell’anno. Dieci morti annegati. Certo gli arrivi nella Penisola sono diminuiti del 24% nel 2007 e i morti nello stretto di Gibilterra, anche grazie ai radar, sono passati da 215 nel 2006 a 131 nel 2007. Ma questo costo di vite umane rimane inaccettabile. Non saranno i radar a fermare la strage, in assenza di politiche di mobilità dei migranti africani, di re-insediamento dei rifugiati e di forte investimento economico nell’area mediterranea.
87 milioni. Sulla scia delle rotte per le Canarie, nell’Atlantico, gennaio si lascia alle spalle almeno sette vittime. Tre cadaveri ritrovati a bordo di una piroga soccorsa 90 miglia a sud dell’arcipelago spagnolo il 13 gennaio e altri quattro ripescati al largo di Cap Barbas, 270 km a sud di Dakhla, nel Sahara occidentale, il 4 gennaio. Gli arrivi alle Canarie sono diminuiti del 62% nel 2007 e le vittime censite sono passate da 1.035 a 745. Frontex ha respinto verso le coste africane 12.864 migranti dall’agosto 2006. E dal primo febbraio 2008, i pattugliamenti europei dell’Atlantico saranno permanenti per tutto il 2008, con mezzi spagnoli, portoghesi e italiani, per un costo complessivo di 12 milioni di euro. A cui vanno aggiunti 87 milioni stanziati dall’Ue per il 2007-08 per finanziare i rimpatri dei migranti sbarcati alle Canarie (16.000 tra il gennaio e l’agosto del 2007, per un costo di 10,8 milioni di euro, ovvero 675 euro a testa), e i pattugliamenti congiunti operati in Senegal, Mauritania e Marocco, che dall’aprile 2006 hanno bloccato almeno 7.000 migranti. Le ultime retate in Marocco hanno causato l’arresto di un centinaio di persone a Rabat, mentre sono almeno 2.400 i migranti arrestati nel 2007 lungo le coste del Sahara occidentale e poi espulsi in Algeria, abbandonati a se stessi in una zona semidesertica lungo il confine. Nessun pattugliamento ha invece fermato la pesca clandestina delle navi europee, russe e cinesi, che negli ultimi anni hanno esaurito i banchi di pesce della costa africana e partecipato in maniera diretta all’esodo dei pescatori senegalesi.
Pesca al cadavere. Ale Nodye, discendente di una famiglia di pescatori di Kayar, in Senegal, da sei anni guadagnava dalla pesca sì e no il necessario per coprire le spese del carburante della piroga. Così ha deciso di partire, con 87 passeggeri a bordo di quella stessa barca, verso la Spagna. Il viaggio è finito male. È stato rimpatriato. Suo cugino è morto annegato. Eppure Nodye vuole ripartire. “In Spagna potrei lavorare in mare, qui non c’è più pesce” dice al New York Times. Gli scienziati gli danno ragione. La pesca intensiva e spesso clandestina di una flotta di pescherecci europei, russi e cinesi hanno devastato i banchi di pesce. Lo stesso presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, accusa l’Europa: “Vogliamo pescare pesce non cadaveri”. E continua: “Avevamo i banchi più ricchi del mondo, ma i nostri fondali sono stati spogliati dalla pesca clandestina europea e asiatica”. La storia si ripete. E il protagonista è l’Unione europea, che con una mano depreda le risorse di un intero continente e con l’altra chiude le vie di fuga di chi cerca di tornarsi a prendere ciò che gli spetta.
A 14 anni in Italia. Gennaio conta tre vittime anche sulle rotte che dalla Turchia, via Grecia, portano in Italia verso il nord Europa. La prima frontiera da valicare è quella tra Edirne e Didimotiho. Tra Turchia e Grecia. Lì il confine corre lungo il corso del fiume Evros. Basta attraversarlo, il più delle volte su dei gommoni, per ritrovarsi in Grecia e da lì proseguire nascosti nei camion che ogni notte attendono il loro carico umano. Il 15 gennaio era una di quelle notti. I passatori turchi stavano trasportando un carico di profughi da una parte all’altra del fiume. Qualcosa è andato storto. La barca si è rovesciata. E una donna è finita in acqua ed è morta annegata subito dopo, scomparendo tra le acque gelate dell’Evros. Due settimane dopo, il 30 gennaio, l’equipaggio dell’Ariadne, un traghetto di linea tra Patrasso e Venezia, scopre i resti di un uomo nella stiva della nave, dove si era nascosto per raggiungere l’Italia e proseguire il suo viaggio. Lo stesso progetto che aveva il quattordicenne afgano morto una settimana prima, il 22 gennaio, divorato dall’asfalto mentre viaggiava nascosto legato sotto un camion partito dalla Grecia e sbarcato ad Ancona.
La stagione della caccia. Patrasso: la caccia all’immigrato è ufficialmente aperta. Alla vigilia del tradizionale Carnevale della città, le autorità greche hanno deciso di ripulire la zona del porto, dal quale ogni giorno centinaia di rifugiati tentano di imbarcarsi per l’Italia, nascondendosi sui camion pronti a salire sui traghetti diretti a Bari, Brindisi, Ancona e Venezia. Più di 200 rifugiati afgani sono stati arrestati e trasferiti nei campi di detenzione ad Atene e Evros, al confine turco, in attesa di essere riammessi in Turchia. La polizia ha iniziato la demolizione della baraccopoli vicino al porto, dove vivono tra cartoni e lamiere, almeno 700 rifugiati, per lo più afgani e iracheni, di cui almeno 300 minorenni. La polizia greca stima che oltre 4.000 profughi vivano accampati nella città in attesa di un passaggio verso l’Italia, da dove spesso il viaggio prosegue verso il nord Europa e l’Inghilterra. A fermare momentaneamente le demolizioni è stata una forte mobilitazione delle associazioni greche, che hanno organizzato una manifestazione con oltre 2.000 partecipanti, tra cui centinaia di rifugiati afgani e irakeni. Le condizioni di vita nelle baracche sono ostili: niente sanitari, acqua potabile, né corrente elettrica. Nel 2006 un 33enne afgano morì fulminato mentre tentava un allaccio abusivo alla rete elettrica.
Crociera Grecia. Lo scorso 19 gennaio la polizia greca aveva arrestato 66 irakeni e 4 afgani nel porto di Igoumenitsa, appena riammessi in Grecia dall’Italia, dove essere stati intercettati a bordo di una nave salpata da Patrasso. I profughi sono stati immediatamente inviati nel campo di detenzione di Evros, al confine turco, in attesa di essere espulsi nella Turchia che bombarda il Kurdistan irakeno, assieme ai 200 rifugiati afgani arrestati, sempre a Igoumenitsa, nei giorni precedenti. In base ai lanci delle agenzie stampa, almeno 172 migranti, in maggioranza afgani e irakeni, sono stati riammessi in Grecia dai porti italiani di Bari, Ancona e Venezia, solo nel mese di gennaio 2008. Nel 2006 le riammissioni in Grecia da Bari furono 850, tra cui quelle di 300 iracheni e 170 afgani. A niente sono serviti i pareri contrari alle riammissioni espressi sia il Parlamento europeo che l’Acnur.
Blocco 10. “Sono detenuto da 14 mesi e non ho commesso nessun reato, è questa l’Europa?”. Se lo chiede il sierraleonese intervistato da Sergio Serraino nell’aprile 2006 al Blocco 10 della prigione di Nicosia. Il reparto destinato alla detenzione dei migranti senza documenti e ai richiedenti asilo approdati sull’isola di Cipro. Membro dell’Unione europea dal maggio 2004, Cipro ospita almeno 110.000 immigrati, il 15% della popolazione residente nella regione sotto il controllo greco. Nel 2006 i migranti interpellati dalla polizia sono stati 3.778, il 378% in più rispetto al 2005. Arrivano da Siria, Iran, Pakistan, Iraq, Bangladesh, Egitto, Turchia, ma anche dall’Africa. Si imbarcano in Egitto o in Turchia sui mercantili e vengono sbarcati nella regione dell’isola controllata dalle autorità turche. Dopodiché passano la “linea verde” e entrano senza documenti nella regione controllata dalla Grecia. Sono detenuti in condizioni degradanti, a volte per anni. Dall’isola trapelano poche notizie. Nell’ottobre del 2007, sette rifugiati del Blocco 10 passarono quattro giorni arrampicati sopra la torre della cisterna dell’acqua del carcere, chiedendo che le loro domande d’asilo venissero riesaminate. A gennaio, nel territorio cipriota di Dhekelia, dal 1960 sotto l’autorità britannica, sette irakeni residenti nell’area inglese da sette anni, hanno passato una settimana senza viveri su una torre della base militare inglese per chiedere un passaporto britannico. La protesta non è servita. Il 14 gennaio i manifestanti, insieme ad altri 40 iracheni, di cui 22 bambini, sono stati espulsi e affidati alle autorità cipriote e le loro case demolite. Due settimane dopo, un attivista della ong cipriota Kisa, Doros Polycarpou, veniva arrestato mentre supportava la manifestazione di un gruppo di donne irachene, a Nicosia, che chiedevano la libertà per i propri mariti detenuti nel Blocco 10 da anni. Lo stesso clima di rivolta e repressione si respira in tutta Europa.
Il giro di vite. Lo scorso 23 gennaio, nel centro di prima accoglienza di Cassibile, a Siracusa, cinque richiedenti asilo politico eritrei sono stati arrestati con l’accusa di sequestro di persona per aver bloccato i cancelli del centro per due ore, impedendo agli operatori dell’ente gestore Alma Mater di uscire, in segno di protesta per l’attesa di oltre tre mesi dell’audizione alla Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato. Nessuno ha ripreso la notizia, e una settimana dopo la Prefettura di Siracusa ha negato l'ingresso al centro a un giornalista. Notizie di scioperi della fame arrivano anche dal Belgio e dal campo di detenzione dell’isola di Samos, in quella Grecia recentemente richiamata al rispetto dei diritti dei migranti, dove un 27enne bengalese il 14 gennaio ha tentato il suicidio in un commissariato di Atene per paura di essere espulso. Pessime notizie anche da Israele, dove un migliaio di richiedenti asilo, perlopiù sudanesi e eritrei, entrati dalla frontiera egiziana, sono detenuti da mesi nel campo di Ktsiyot, una tendopoli nel deserto del Negev. In Polonia i migranti continuano a perdersi tra le nevi dei valichi. Malta è tornata sotto i riflettori per le accuse di un recentissimo rapporto della Commissione Libe che parla di detenzione “inumana e inutile”. Persino la civilissima Svezia sta preparando il rimpatrio di 500 afgani. E non va meglio a Melilla, dove due membri dell’associazione “Prodein” sono stati querelati dal governo dell’enclave spagnola per diffamazione e calunnia per un servizio andato in onda su Tve sul centro dei minori non accompagnati della città. In Francia è rivolta. Dalla metà di dicembre i migranti detenuti dei centri di permanenza di Mesnil-Amelot e di Vincennes portano avanti scioperi della fame e rifiutano di rientrare nelle camere. Protestano contro le condizioni di detenzione e le continue brutalità degli agenti. Le associazioni dall’esterno sostengono la protesta. Sul sito di Pajol è possibile seguire in diretta l’evolversi della rivolta, i bollettini parlano di pestaggi della polizia contro i leader della protesta. Molti migranti sono messi in celle di isolamento; altri rimpatriati. Intanto nella Francia di Sarkozy, che si è posta l’obiettivo di 25.000 espulsioni per il 2008, aumentano arresti e retate. Per strada, negli aeroporti, e a Calais, dove la situazione va sempre più peggiorando.
Liberté, egalité, fraternité. I rapporti delle associazioni di Calais parlano di continui pestaggi e maltrattamenti da parte degli agenti delle forze dell’ordine che danno la caccia alle centinaia di rifugiati che vivono accampati in baracche di fortuna e tende nei boschi intorno alla città, tentando ogni notte di nascondersi sui tir diretti all’imbarco per Dover, in Inghilterra. Maria Gues Noëlle, una militante di un collettivo francese, è stata fermata lo scorso 23 ottobre, a Calais, per aver fotografato due agenti della Compagnie républicaine de sécurité (Crs) mentre inseguivano e malmenavano un rifugiato. Mantenuta per 24 ore in custodia cautelare, è stata multata per 1.500 euro e rischia fino a un mese di carcere in un processo che si apre il 5 febbraio.