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L'aggravante slitta. Per ora
Si discuterà il 6 giugno la presunta incostituzionalità delle nuove norme anti-clandestini
Alessandro Braga
Milano
Per ora se ne restano in carcere i quattro immigrati clandestini cui il pubblico ministero del tribunale di Milano Grazia Pradella aveva contestato due giorni fa, oltre ai diversi reati commessi, anche l'aggravante della clandestinità, come previsto nel nuovo testo dell'articolo 61 del codice penale. Quello, per intenderci, inserito nel pacchetto sicurezza dal governo di Silvio Berlusconi. E che prevede un aumento della pena fino a un terzo nel caso il reato venga commesso da un clandestino.
Ieri il giudice del tribunale di Milano si è espresso unicamente sulla convalida degli arresti. Che sono stati tutti e quattro confermati. In questa fase del procedimento l'eccezione di costituzionalità sollevata dall'avvocato difensore di uno dei quattro indagati, ha spiegato il magistrato, «appare irrilevante». Per entrare nel merito, si dovrà aspettare il 6 giugno. Quel giorno si saprà se l'aggravante dell'aver commesso il reato in condizione di clandestinità dovrà essere censurata dal punto di vista costituzionale. Ossia se il giudice prenderà in considerazione la richiesta dell'avvocato difensore. Se accetterà, la questione dovrà essere dibattuta dalla corte costituzionale, e i procedimenti a carico dei quattro si fermerebbero, fino alla pronuncia della corte. Il tema è comunque già sul tavolo dell'associazione nazionale magistrati. Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino ieri non ha voluto commentare il pacchetto sicurezza varato dal governo, in attesa che il consigliere del Csm Mauro Volpi sottoponga al plenum dell'associazione dei magistrati il parere tecnico che sta preparando, ma già la prossima settimana si dovrebbe avere un pronunciamento.
I processi a carico dei quattro riguardano reati distinti fra loro, tutti contro il patrimonio. Un marocchino arrestato per possesso e spaccio di cocaina: stava cercando di vendere a un italiano tre quarti di grammo di polvere bianca. Un cileno accusato di danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale: dopo una lite con un connazionale era andato in una clinica milanese per farsi medicare. Lì aveva picchiato due medici del pronto soccorso e due carabinieri intervenuti per bloccarlo. Infine due «soci d'affari»: un ucraino e un moldavo, pizzicati dai carabinieri a arraffare sei televisori e trenta paia di scarpe in un deposito di elettrodomestici e vestiti. Unico filo conduttore, il fatto che a commettere i delitti siano stati immigrati senza permesso di soggiorno. Il che è bastato alla pm milanese per inserire tra i capi d'accusa anche l'aggravante della clandestinità, a pochi giorni dall'entrata in vigore del decreto. Ora c'è da aspettare che il giudice di Milano, entrando nel merito, decida se accettare o meno la richiesta della difesa, ma il caso ha già fatto scuola: ieri la procura di Ragusa ha contestato l'aggravante di clandestinità a un tunisino arrestato per detenzione di droga. Lo stesso ha fatto la procura di Bologna ai danni di due spacciatori, un egiziano e un tunisino, fermati nel capoluogo emiliano. Controcorrente, un giudice torinese, che ha bocciato la richiesta del pubblico ministero di aumentare la pena a due imputati, un nigeriano e un marocchino, proprio in base al reato di immigrazione clandestina. Ma il primo ha dimostrato di aver fatto richiesta di asilo politico, il secondo di essere in attesa di naturalizzazione perché da poco sposato con un'italiana. Insomma, casi particolari che permettono di scappare da una norma generale già definita dal presidente dei penalisti italiani Oreste Dominioni «illegittima sotto il profilo dell'uguaglianza», perché «collega l'aggravamento della pena a una condizione soggettiva della persona e non a un maggior disvalore sociale del fatto commesso».