Muore legato al tir, sognando Venezia e l'Italia
Orsola Casagrande
VENEZIA
Un altro giovane profugo è morto nella stiva del traghetto Icarus approdato al porto di Venezia. E' il terzo morto in due settimane. Tredici in tutto i giovani scoperti ieri mattina a Venezia. Alcuni di loro sono stati trovati ancora legati sotto i motori dei tir caricati sulla nave.
Secondo le prime informazioni fornite dalla squadra mobile veneziana si tratterebbe di cittadini afghani e iracheni. Nei giorni scorsi sono stati trovati morti altri due profughi. Due kurdi iracheni. Anche loro venivano dalla Grecia, anche loro dopo un viaggio lungo e violento hanno trovato la morte. Tra l'altro il primo ragazzo morto, due settimane fa, era stato respinto al porto di Venezia soltanto una settimana prima. Una circostanza che ha fatto emergere con drammaticità una pratica, quella dei respingenti ai porti, diffusa e di cui però poco si parla. Chi viene respinto alla frontiera infatti non ha nemmeno la possibilità di vedere gli operatori del Cir e quindi non ha neppure la possibilità di avanzare richiesta di asilo.
La denuncia, portata avanti da Melting Pot e da altre associazioni che lavorano sull'immigrazione, è stata sostenuta la settimana scorsa in una conferenza stampa anche dall'operatore del Cir, Edoardo Montagnani. Parlando poco dopo la scoperta del secondo cittadino trovato morto al porto di Venezia, Montagnani ha denunciato le difficoltà che incontra nel fornire assistenza legale a chi arriva nei porti. «Parliamo di violazione del diritto all'asilo politico ma anche del diritto alla vita e alla dignità umana», ha detto.
La stessa cosa aveva sottolineato in quell'occasione Rosanna Marcato, responsabile del servizio pronto intervento sociale del comune che si occupa di profughi, richiedenti asilo e minori stranieri non accompagnati. «Molti dei respinti - ha detto - sono minorenni». L'assessore alla cultura Luana Zanella ha avuto toni molto duri e ha ribadito come Venezia sia una frontiera di morte.