Un episodio di assoluta gravità, conferma del clima avvelenato dei tempi che stiamo vivendo, si è verificato la sera di domenica 24 agosto a Siracusa.
Prima si è sentito uno sparo proveniente dal sottopassaggio della stazione subito dopo un nucleo di agenti è intervenuto per fermare alcune decine di migranti, in prevalenza eritrei, che stavano per partire con un treno diretto a Nord.
Le modalità di intervento della polizia, al di là dell’uso del tutto ingiustificato di un arma da fuoco, negato dalla locale Questura, ma ben percepibile secondo i testimoni oculari, secondo quanto riferito dalla stampa, sono state particolarmente violente. Gli immigrati sono stati bloccati e poi costretti a pancia a terra mentre alcuni agenti premevano sulle loro schiene con ginocchia e piedi.
Un cittadino italiano che è intervenuto, protestando contro le modalità violente dell’intervento della polizia, è stato arrestato, sembrerebbe adesso, sulla base della contestazione da parte dell’Autorità giudiziaria, con l’accusa di concorso in lesioni e di resistenza a pubblico ufficiale, dopo che in un primo momento si era sparsa la voce che gli sarebbe stata contestato addirittura il reato di procurata evasione. Una evasione che non c’è mai stata perché i migranti, dopo lo sbarco, si erano allontanati da un centro di identificazione, uno dei tanti che si stanno moltiplicando in queste settimane in Sicilia per effetto dei provvedimenti di urgenza adottati dai prefetti a seguito della dichiarazione, da parte del governo, dello stato di emergenza “immigrazione”.
Rimangono ancora oscure le circostanze delle “lesioni personali” che avrebbe subito uno degli agenti intervenuto nell’operazione, lesioni contestate anche al cittadino italiano, occasionalmente presente in stazione, che è intervenuto in difesa dei migranti, circostanze sulle quali adesso indagherà la magistratura, anche sulla base delle numerose testimonianze dei cittadini che hanno assistito alla caccia all’uomo ed al fermo dei migranti. Dopo la convalida degli arresti da parte del magistrato, sia i migranti che il cittadino italiano sono stati rimessi in libertà, mentre l’impianto accusatorio imbastito a loro carico denota già lacune e contraddizioni.
Al di là della singola vicenda sulla quale si dovrà tornare quando il 24 ottobre prossimo il giudice, nell’ambito di un procedimento con rito direttissimo, si pronuncerà sulle accuse ricavate dai verbali dalla polizia, quanto successo alla stazione ferroviaria di Siracusa conferma come si impiantano procedimenti penali nei confronti di potenziali richiedenti asilo, in questo caso nove eritrei ed un etiope, sulla base di accuse che non sembrano reggere alla prova dei fatti.
Come è noto, però, il confine del reato di “resistenza a pubblico ufficiale” diventa sempre più incerto soprattutto quando si tratta di arrestare immigrati irregolari. Immigrati che talvolta ritrattano persino le denunce degli abusi e delle percosse subite. Si potrebbe parlare ormai di un reato “a definizione successiva”, in base alla valutazione discrezionale dei fatti, piuttosto che al loro effettivo svolgersi. Ma su questo si dovrà pronunciare l’autorità giudiziaria che dovrà garantire il rispetto del principio di legalità. Per tutti ed in tutte le direzioni.
Si introduce poi una preoccupante novità, per la prima volta in Sicilia un cittadino italiano che protesta in difesa dei migranti viene arrestato e privato per diverse ore persino della possibilità di comunicare con gli amici e con un avvocato. La solidarietà e la difesa dei diritti umani sotto processo sulla base di un verbale di polizia. Addirittura, secondo quanto riferisce la stampa, come se l’intervento del cittadino italiano si fosse tradotto in un incitamento all’aggressione dei poliziotti.
Un avvertimento per il futuro, per tutti gli antirazzisti che cercheranno di intromettersi nelle fasi “calde” del controllo e della “movimentazione” dei migranti irregolarmente giunti nel nostro territorio, in fuga da guerre e da persecuzioni etniche.
Eppure, secondo l’art. 12 secondo comma, del Testo Unico sull’immigrazione, “non costituiscono reato le attività di soccorso e di assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello stato”. E dunque l’esimente vale anche nel caso di interventi che si limitano alla richiesta di maggiore umanità anche nei confronti di persone che non sono state ancora identificate o si trovano comunque in una condizione di soggiorno irregolare.
Se questo arresto costituisce un fatto nuovo, non è invece una novità l’arresto di persone che si allontanano da centri di prima accoglienza che non sono qualificabili come centri di detenzione amministrativa, e che anche se lo fossero, non sarebbero mai equiparabili ad un istituto penitenziario, l’unica struttura carceraria dalla quale chi evade commette un reato e chi lo aiuta commette il reato di procurata evasione. Il fermo di immigrati irregolarmente presenti nel territorio dopo lo sbarco non può implicare di per sé alcuna responsabilità penale, né per coloro che vengono arrestati, né per coloro che vi hanno prestato assistenza umanitaria.. Eventuali comportamenti di resistenza vanno contestati individualmente ed anche per questi casi vale la presunzione di innocenza sino alla eventuale condanna definitiva.
Si rileva anche, dalle cronache della stampa locale, come purtroppo stia diventando una consuetudine, dopo ogni sbarco, anche quando ci sono stati morti e dispersi, la individuazione di alcuni scafisti, come se non fosse universalmente noto ( anche al ministero dell’interno) che sulle imbarcazioni più piccole scafisti non ce ne sono, e sono i migranti che a turno si alternano al timone. Alcuni anni fa si era addirittura giunti ad incriminare tutti i migranti presenti su una piccola imbarcazione per agevolazione (reciproca?) dell’ingresso di “clandestini”. Non si hanno purtroppo notizie dell’esito di questo processo, ma la speranza di saperne qualcosa è l’ultima a morire. Forse anche questo procedimento per direttissima si sarà chiuso con il patteggiamento della pena, la liberazione degli imputati e la successiva loro scomparsa nella clandestinità. Magari con l’aiuto di qualche interprete compiacente che ha “spiegato” la situazione agli imputati comportandosi di fatto come un avvocato d’ufficio. Il risultato peggiore, anche se si fosse trattato di incalliti criminali.
Di certo, mentre pochi sbarchi si verificano ancora con grandi imbarcazioni, e lì gli scafisti non mancano, sui mezzi più piccoli, sempre più piccoli e pericolosi per sfuggire ai controlli adesso più intensi anche per l’impiego delle pattuglie di FRONTEX, gli scafisti non si azzardano a salire. Le organizzazioni che dalla Libia gestiscono le partenze verso l’Italia, con la copertura politica del regime libico che usa gli sbarchi come merce di scambio e della polizia di quel paese che lucra sulle vite dei migranti in combutta con le bande criminali, si limitano a fornire una bussola ed un telefono satellitare con il quale chiamare i soccorsi. Queste circostanze sono confermate, oltre che dalle testimonianze dirette dei migranti, raccolte negli anni dagli antirazzisti presenti a Lampedusa, dalle decine di tragedie che si sono verificate, anche in questi giorni, perché i migranti hanno perso la rotta, come è successo ancora ieri a sud di Malta, con decine e decine di morti e dispersi.
Ma in Italia, se si arriva vivi, non sempre va bene. Alla individuazione degli pseudo-scafisti, segue regolarmente l’arresto in carcere, un processo per direttissima e una sentenza di patteggiamento della pena, con la conseguente liberazione dei malcapitati, e quindi della loro espulsione, una espulsione che nessuno riesce poi a mettere in esecuzione, trattandosi assai spesso di persone che provengono da paesi nei quali l’Italia non può respingere o espellere perché le vittime di queste procedure potrebbero subire trattamenti disumani e degradanti, sulla base del preciso divieto sancito dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Ma dopo il patteggiamento della pena, un provvedimento di espulsione ed una detenzione per qualche mese in carcere, il “sospetto scafista” sarà un “clandestino” e dunque un criminale, a vita, in tutta Europa, grazie agli archivi informatici che collegano tutte le polizie europee, e per effetto della schedatura avrà possibilità minime di riconoscimento dello status di protezione internazionale o altre vie di legalizzazione.
Vorremmo proprio sapere quanti migranti condannati come scafisti dai Tribunali siciliani in questi anni sono stati effettivamente espulsi, quanti hanno patteggiato la pena, quanti sono stati assolti, quanti hanno avuto accesso alla procedura di asilo, quanti sono invece scomparsi nella clandestinità. Magari potrebbe essere un utile materiale di studio in vista dell’adozione del nuovo decreto sulle procedure di asilo, che il nuovo governo si sta apprestando ad adottare seguendo una “procedura anomala”, con il preventivo invio dello schema di decreto alla Commissione di Bruxelles, un modo per strappare il preventivo appoggio europeo ed il sostegno interno del Partito democratico.
L’applicazione disumana del Regolamento Dublino, che stabilisce come paese competente per l’esame delle domande di asilo il primo paese di ingresso nell’Unione Europea, un regolamento che è ancora in vigore, malgrado i casi di sospensione nei confronti della Grecia, sospensione confermata adesso anche da una sentenza di un Tribunale amministrativo, induce molti migranti in procinto di arrivare in Sicilia, a tentare di scarnificare, anche a morsi, le proprie dita per cancellare le impronte digitali. E anche qui, dopo l’approvazione del pacchetto sicurezza voluto dal nuovo governo, per i potenziali richiedenti asilo, piuttosto che i centri di accoglienza e la integrazione, si apre la prospettiva del carcere, della clandestinità, dell’esclusione. Ed anche della schiavitù vera e propria perché poi queste stesse persone, costrette alla clandestinità, si ritrovano nei campi di Alcamo, di Ragusa, di Pachino, o in Campania, in Calabria ed in Puglia, costrette ai lavori più umili e rischiosi, talvolta senza neppure ricevere la paga e comunque sottoposti a violenze che non possono neppure denunciare perché “clandestini”.
Dopo i provvedimenti che hanno criminalizzato tutti gli immigrati irregolarmente giunti in Italia si presenta il rischio concreto che per queste ragioni molti potenziali richiedenti asilo finiscano per mesi a marcire in carcere, piuttosto che ricevere assistenza ed essere inseriti tempestivamente nella procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione internazionale. Anche il Ministero dell’interno riconosce che tra i migranti che sbarcano in Sicilia aumenta la percentuale dei potenziali richiedenti asilo, ma poi nei loro confronti si usano gli stessi metodi adottati per i “clandestini”. In Italia il 35 percento di coloro che sono arrivati via mare nel 2007 hanno fatto domanda d’asilo ed il 22 percento del totale si è visto riconoscere una forma di protezione (status di rifugiato o protezione umanitaria).
Chi pensa di usare il codice penale e gli arresti di polizia nei confronti di migranti in fuga che già hanno sperimentato sulla loro pelle ogni sorta di angheria e violenza da parte delle polizie dei paesi di transito, brucia qualunque speranza di vita nella legalità che pure si dovrebbe riconoscere ai migranti sulla base della Convenzione di Ginevra e delle norme interne che attuano le direttive comunitarie in materia di accoglienza, di status e di procedure per coloro che richiedono asilo o protezione umanitaria.
Una situazione già gravissima, che tra pochi mesi potrebbe diventare esplosiva se si dovessero riprendere le espulsioni di massa verso i paesi di transito, come la Libia, anche nei confronti di migranti che non sono cittadini di quei paesi, dai quali potrebbero essere poi rinviati ne paesi di origine a subire arresti arbitrari, torture ed abusi di ogni genere. Ma l’accordo tra Berlusconi, Frattini, Maroni e Gheddafi sembra sempre più vicino. Come rimangono in vigore gli accordi di riammissione con l’Egitto ed il Marocco, malgrado le dure critiche espresse a tale riguardo nei confronti dell’Italia dalla relazione Hammarberg, e dunque dal Consiglio d’Europa, lo scorso luglio. E magari Berlusconi e Gheddafi stringendosi la mano avranno pure il coraggio di richiamare i diritti umani di cui -come è noto - sono tutti strenui difensori.
Chiediamo attenzione su questi problemi all’opinione pubblica ed ai mezzi di informazione. Una opinione pubblica sempre più forcaiola e intollerante, anche nei confronti di chi chiede asilo, una opinione pubblica rassegnata o che si ritiene rassicurata dalla “tolleranza zero” che si sta applicando nei confronti dei migranti e, come stiamo vedendo adesso, anche nei confronti degli antirazzisti. Una opinione pubblica che invece dovrebbe essere allarmata sempre di più dalle possibili conseguenze che la “guerra interna”, dichiarata adesso anche ai potenziali richiedenti asilo, potrà produrre sui rapporti di convivenza tra gli italiani e quanti, fuggendo verso il nostro paese dopo avere subito abusi, carcere ed umiliazioni di ogni genere, vi hanno trovato solo altri abusi, altro carcere ed altre umiliazioni.