Treviso, ragazza irregolare arrestata dopo aborto
ROMA –Immigrati irregolari a rischio anche negli ospedali. Oltre all’accesso alle cure è garantito per legge (articolo 35 del Testo unico sull’immigrazione) anche l’anonimato: le strutture sanitarie non possono cioè segnalare alle autorità gli immigrati irregolari che le utilizzano. Ora però proprio su questo aspetto arrivano alcuni segnali preoccupanti. Il primo episodio è avvenuto nei giorni scorsi a Treviso, dove una ragazza ghanese irregolare di 20 anni è stata arrestata in ospedale dopo aver subito un intervento di interruzione di gravidanza. La giovane sarebbe stata riconosciuta dai funzionari di polizia in servizio all'ospedale. Il provvedimento è stato convalidato dalla magistratura, che ha emesso nei confronti della ragazza, attualmente ospite di una casa famiglia, un ordine di allontanamento dall’Italia.
Sempre nel Nord-Est, l’affondo diretto è arrivato dal presidente della Provincia di Pordenone, Alessandro Ciriani (An-Pdl), che ha chiesto al ministro dell'Interno Maroni, di attivarsi perché gli ospedali possano segnalare i clandestini. “La norma che vieta di segnalare alle autorità i clandestini che utilizzano le strutture sanitarie - afferma Ciriani - è un'autentica vergogna”. Secondo Ciriani, “è giusto e doveroso assicurare a tutti le necessarie cure. Altra cosa, però, è garantire il diritto alla clandestinità, un principio - a suo parere - francamente inaccettabile”.
Sulla proposta di introdurre un obbligo di denuncia per i clandestini che si rivolgono al pronto soccorso è duro il giudizio di Salvatore Geraci, presidente della Simm, società italiana di medicina delle migrazioni: “Il rischio è quello della clandestinità sanitaria. Con effetti gravissimi non solo per i singoli, ma anche per la collettività. La norma che prevede il divieto di segnalare alle autorità di polizia un clandestino che viene curato è passata nel 1995, all’interno del decreto Dini, anche con i voti della Lega nord”.
Era contenuta, racconta Geraci, in un disegno di legge sponsorizzato dalle associazioni, ma firmato da di più di trecento parlamentari: “Quel principio fu introdotto perché si era deciso che era più importante garantire le cure sanitarie, a tutela del singolo, ma anche della collettività, che fare un utilizzo improprio degli ospedali.Un ospedale è un luogo di cura, non può essere usato per l’allontanamento e l’identificazione”. Secondo Geraci “quell’articolo ha dato ottimi risultati, dal punto di vista non solo assistenziale ma anche preventivo. Lo dimostra il fatto che già dal 1996-1997 diversi indicatori sanitari abbiano avuto un rapido miglioramento. Sono diminuiti, nella popolazione immigrata, il tasso di incidenza dell’Aids come quello della Tbc”.
Insomma “All’epoca fu fatta la scelta di tenere distinti sanità pubblica e ordine pubblico. E questo non solo per motivi di equità, ma anche economici. Perché garantire l’assistenza al livello appropriato fa risparmiare parecchi soldi allo Stato. Viceversa, associare la possibilità di farsi curare e il rischio di una denuncia, oltre a essere una scelta umanamente inadeguata, è un errore strategico gravissimo dal punto di vista della sanità pubblica. Non a caso negli Stati Uniti non fanno così. E la necessità di tenere distinti ordine pubblico e salute è stata più volte ribadita anche dall’Unione europea”. “Chi teme una denuncia si farà curare in modo clandestino. Avverrà, ancor prima che per l’aborto, per le donne incinte o che devono partorire, per le malattie infettive, gli infortuni sul lavoro, l’assistenza ai neonati. Il risultato sarà l’espulsione di queste persone, non dall’Italia ma dai servizi”.
Sul caso della ragazza arrestata a Treviso è intervenuta anche l’Aduc, l’associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori. Quanto accaduto a Treviso, secondo l’associazione, crea un precedente molto pericoloso “perché le donne immigrate irregolari abortiranno clandestinamente, con tutto ciò che comporta per la salute individuale e pubblica; e perché, per esempio, se un clandestino ha una malattia infettiva e non si cura per paura di essere espulso, prima o poi infetterà qualcuno anche non clandestino e non immigrato”.
(c.r.)