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Dal di Dentro
L'addio non permesso...
In questi anni di prigionia mi è capitato spesso che persone con cui sono entrato in contatto –insegnanti nei corsi che frequento, sia uomini che donne conosciuti per via epistolare e talvolta anche compagni di detenzione- mi abbiano chiesto: “Cosa comporta la pena dell’ergastolo?”.
Per una sorta di pudore a parlare di una condizione così intima e per la scarsa propensione ad essere commiserato, ho sempre scansato questa domanda ammantando le risposte di lugubre ironia.
E questo lato della mia personalità, ha fatto sì che quella risposta, fino a non tanto tempo fa fosse poco chiara anche a me stesso. Tutto questo fino a qualche anno fa, quando in seguito alla scomparsa di mio padre, in una lettera scritta da un amico, che vive la mia stessa condizione, trovai la risposta a quel quesito. Lettera che oggi, con l’augurio che serva ad indurre qualcuno alla riflessione su questa tematica, mi appresto a rendere publica:
“Carissimo Sebastiano,
Ho ricevuto ieri la tua lettera con la funesta notizia della morte di tuo padre, il vecchio “Zio Bore” (Zio Salvatore). Credo potrai facilmente immaginare il dolore e la rabbia che quella notizia e i suoi risvolti -che ho appreso sempre dal tuo scritto- hanno provocato in me. Ho trovato a dir poco assurda la decisione del magistrato di concederti l’autorizzazione a poter rivedere tuo padre per l’ultima volta solo dopo che era morto –cosa che giustamente hai rifiutato di fare-.
Ormai, come ben sai, la nostra esistenza anche nei momenti più drammatici, è regolata dal “burocrate di turno’’ che avvalendosi del suo misero potere, si arroga il diritto, talvolta più per negligenza e disinteresse che per reale volontà di concederti o meno quel privilegio naturale che consiste nella presenza di un figlio al capezzale del proprio padre in quel fatidico momento.
Poco fa, da un'altra lettera giuntami stavolta dal paese, ho appreso un’ulteriore particolare sulla morte di tuo padre che, se possibile, me l’ha reso ancora più caro. Mi hanno scritto che Zio Bore è rimasto lucido fino alla fine, e che in quegli ultimi istanti di vita era evidente a tutti i presenti che i suoi occhi, tra tanti volti che lo attorniavano, ne cercava uno che non trovava: il tuo. Quello del figlio più amato.”
Quel giorno, leggendo quelle righe, capii qual’era la funzione primaria dell’ergastolo.
Tutto si condensava in una sola parola: alienazione. Perpetua alienazione. Cioè la peggior condizione a cui può essere sottoposto un uomo.
Dunque, compagni ergastolani, rialziamoci in piedi e riappropriamoci delle nostre esistenze. Insieme è possibile!
Sebastiano Prino
Per Gli Ergastolani in Lotta di Sulmona