Il testo del disegno di legge n. 733, l’ultimo pezzo del cosiddetto “pacchetto sicurezza”, è stato licenziato dalle commissioni riunite con l’aggiunta di ulteriori emendamenti in senso restrittivo.
Avevamo già accennato al fatto che il governo rinuncerà a ritoccare in senso ulteriormente restrittivo la condizione giuridica dei cittadini comunitari, avendo dovuto soggiacere all’orientamento fin troppo palese e chiaro della Commissione Europea, pronunciatasi in merito, avvertendo che, l’ introduzione di norme che peggiorino la condizione giuridica del diritto di circolazione dei cittadini comunitari, comporterebbe una violazione del diritto comunitario e della direttiva che regola questa materia.
Ma sembra quasi che, non potendo mettere mano a questi aspetti, il governo abbia ritenuto di poter affondare su altre questioni che, nell’ambito del pacchetto sicurezza, porteranno ad una situazione giuridica lontana evidentemente dal garantire maggiore sicurezza ai cittadini, renderà molto più difficili le condizioni di vita di tutti i cittadini stranieri e anche, per alcuni aspetti, per i cittadini italiani.
Il disegno di legge, nella versione presentata dal governo, prevedeva diverse modifiche peggiorative della condizione giuridica dello straniero. Questo testo è stato ulteriormente emendato, quindi integrato in senso restrittivo, dalle commissioni riunite. Così, le dinamiche bloccate dell’attuale sistema parlamentare, che lavora a colpi di fiducia, potrebbero portare molto rapidamente all’entrata in vigore di questa normativa a dir poco preoccupante.
Prendendo in considerazione gli aspetti che andranno maggiormente ad attaccare la condizione giuridica dei cittadini stranieri, è evidente, effettuiamo un esercizio abbastanza arduo. E’ difficile infatti stabilire una sorta di graduatoria tra provvedimenti più gravi e meno gravi. In ogni caso, proviamo ad approfondire le questioni che ci sembrano preoccupanti, e che comporteranno problematiche gravissime per la maggior parte della popolazione immigrata e dei candidati all’immigrazione per il ricongiungimento familiare.
Matrimonio ed esibizione del permesso di soggiorno per tutti gli atti di stato civile
Per quanto riguarda la condizione dei familiari e delle famiglie in generale, si propone di impedire la celebrazione di un matrimonio, in Italia, da parte dello straniero che non possa dimostrare la regolarità del proprio soggiorno. La celebrazione del matrimonio, di per sé, non influirebbe sulla condizione di soggiorno. Un soggiornante irregolare, o una coppia di “clandestini”, potrebbero contrarre un matrimonio senza ottenere alcuna regolarizzazione della loro posizione. Ciò che evidentemente preoccupa gli autori di questo disegno di legge, è la possibilità di matrimoni misti, ovvero tra cittadini immigrati e cittadini italiani o comunitari e che quindi si vengano a creare le condizioni per una possibile acquisizione della cittadinanza. La casistica è però in realtà rarefatta. Sempre per quanto riguarda i matrimoni, si prevede poi che, la cittadinanza italiana, per il coniuge di cittadino italiano, possa essere concessa solo dopo due anni di soggiorno legale nel territorio dello stato in seguito alla celebrazione del matrimonio
Inoltre, si prevede che, non solo ai fini della celebrazione di un matrimonio ci debba essere una posizione regolare di soggiorno, ma si rende anche obbligatoria l’esibizione del permesso di soggiorno ai fini dei provvedimenti relativi agli atti di stato civile.
Questo potrebbe per esempio comportare che, ai fini del mero riconoscimento della paternità o della maternità, in caso di nascita sul territorio italiano di un bambino, vi sia l’obbligo di presentare un permesso di soggiorno. Se non si è in possesso di questo titolo, sembra di capire che, stando al testo proposto nel disegno di legge, non sia possibile effettuare un riconoscimento di un figlio, ovvero di esercitare un diritto fondamentale di ogni persona umana.
Il reato di ingresso e soggiorno irregolare
Si presenta poi il fatidico reato di ingresso e soggiorno irregolare. La proposta non è stato eliminata dal ddl, come molti avevano pensato, ma è semplicemente stata diminuita la gravità del reato, per assecondare, ma solo parzialmente le proteste che, provenienti anche da tutti sindacati di polizia, evidenziavano l’inutilità di una previsione di questo reato e d i suoi effetti problematici: ulteriore riempimento delle carceri e soprattutto un intasamento il lavoro delle autorità giudiziaria. Ma se da un lato non si prevede di intasare direttamente, o immediatamente, le carceri, si prevede comunque di intasare il lavoro dell’autorità giudiziaria che sembra già svolto attualmente in condizioni di estrema difficoltà per mancanza di organico e di strutture.
La proposta riguarda l’aggiunta all’art. 10 del Testo Unico sull’immigrazione, di un ulteriore art 10bis intitolato “Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato”. Il testo prevede che, “sempre che il fatto non costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero che si trattenga nel territorio dello stato, in violazione delle disposizioni del presente Testo Unico sull’immigrazione, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro”. E’ poi previsto che, “ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato per questo titolo di reato non sia richiesto il rilascio del nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria”.
Che cosa significa prevedere questo reato punibile in prima istanza solo con una ammenda di 5.000 o 10.000 euro? Significa fingere di adottare norme con lo scopo di governare il fenomeno migratorio. Chi è in condizione di soggiorno illegale nel territorio dello stato, o si mette in moto per entrarvi, normalmente non ha nulla da perdere e quindi non pagherà né i 5.000 né i 10.000 euro di sanzione stabilita, a titolo di ammenda, da questo disegno di legge. Se non paga i 5.000 o i 10.000 euro d’ammenda, sarà eventualmente sottoposto, nei tempi ovviamente dipendenti dall’intasamento del lavoro dalle autorità giudiziarie, alla misura, ad esempio, della libertà vigilata, e se dovesse sottrarsi a questa misura, commettendo un reato più grave, allora rischierebbe di andare in carcere.
Ma tutto questo che cosa produce in concreto? Produce semplicemente un aumento dell’allarme sociale, un aumento di processi, un aumento di attività da parte dell’autorità giudiziaria, ma non aggiunge nulla alla sicurezza delle persone, neppure alla possibilità concreta di alleggerire la presenza sul territorio nazionale dei cosiddetti “clandestini”. I numeri parlano chiaro: l’ultimo decreto flussi, quello del 2007, ha visto la presentazione di oltre 740.000 domande di autorizzazione all’ingresso dall’estero che riguardano quasi esclusivamente persone che sono già presenti sul territorio nazionale. Immaginare di rinviare a giudizio tutte queste persone, sia pure solo per sottoporle ad una sanzione pecuniaria, non sembra francamente realistico.
Iscrizione anagrafica
Per quanto riguarda poi l’iscrizione all’anagrafe, se è vero che la materia "cittadini comunitari" viene stralciata dal pacchetto sicurezza, si prevede comunque che, l’accoglimento della richiesta di variazione anagrafica, o di iscrizione anagrafica, sia subordinata alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile e di idoneità dello stesso. Questo concetto dell’accertamento dell’adeguatezza dell’immobile si intensifica ulteriormente prevedendo quello che già cominciamo a riscontrare nella prassi di alcuni uffici anagrafe, cioè che, per l’iscrizione anagrafica, si richieda il certificato di abitabilità. Moltissimi, la maggior parte forse degli alloggi, non risponde ai requisiti richiesti semplicemente perché si tratta di immobili costruiti prima che diventasse necessario il certificato di abitabilità. Alcuni comuni si spingono oltre e richiedono addirittura il certificato di idoneità statica
In ogni caso, “non volendo fare discriminazioni”, o affrontare di petto il problema della violazione delle norme comunitarie, si prevedono generalmente, sia per gli italiani che per i comunitari che per gli extra-comunitari, una serie di requisiti per l’iscrizione anagrafica che non sono mai stati presenti nel nostro ordinamento giuridico e che renderebbero molto più difficile la vita, non solo per gli stranieri, comunitari o extra-comunitari, ma anche per i cittadini italiani.
Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno)
Il Governo italiano, con il D. Lgs n. 3, dell’ 8 gennaio 2007, ha dovuto recepire una direttiva europea che ha regolato in maniera uniforme il permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo. Ora, la stessa normativa fa almeno due passi indietro rispetto alle disposizioni comunitarie contenute nella direttiva n. 109/2003.
Si prevede infatti che non sia più possibile estendere automaticamente il Permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo anche ai familiari a carico del richiedente.
Se fino ad oggi si è prevista la possibilità, per chi soggiorna regolarmente in Italia, di ottenere questo titolo di soggiorno dimostrando il possesso dei requisiti – 5 anni di soggiorno, una buona condotta ed un reddito adeguato – e di estendere questo titolo ai familiari a carico, anche se arrivati successivamente, ora si prevede che i familiari di titolare di permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo possano ottenerlo solo dopo 5 anni di soggiorno legale in Italia.
Si stravolge quindi la norma che prevede l’estensione della “carta di soggiorno” ai familiari giunti successivamente in Italia, introducendo, oltre alla condizione per cui si debbano dimostrare di possedere un reddito ed un alloggio adeguati per tutto il nucleo familiare, la valutazione separata dei singoli requisiti per ciascun componente del nucleo familiare.
Anche tacendo la lungaggine e la complessità burocratica di questi adempimenti, si può facilmente capire come questo sia un duro colpo al diritto di stabilità di soggiorno del familiare che la direttiva europea intendeva perseguire.
Altro duro colpo per le persone che non hanno fatto nulla di male e che non costituiscono un pericolo per la sicurezza dello Stato, ma che anzi contribuiscono alla produzione del Prodotto Interno Lordo alla pari dei cittadini italiani, è quello di prevedere che il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo sia condizionato al superamento di una prova di conoscenza della lingua italiana. Si badi bene che qui non si sta parlando di procedure per l’acquisto della cittadinanza italiana o per la cosiddetta naturalizzazione, ma si tratta semplicemente di un titolo di soggiorno. Non si vede perché mai, il superamento di una prova di conoscenza della lingua italiana, debba di per sé costituire un ulteriore filtro, come se non ce ne fossero già abbastanza, per la stabilizzazione del soggiorno di una persona che sta lavorando, sta producendo reddito e sta tenendo una buona condotta.
Una tassa di 200 euro per le pratiche
Si prevede poi una tassa di 200 euro, non solo pero gni richiesta di concessione, acquisizione o naturalizzazione, quindi per ogni concessione inerente alla cittadinanza italiana, ma per ogni rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno. Ogni qual volta lo straniero deve rinnovare o chiedere il rilascio del permesso di soggiorno dovrebbe, oltre ai famosi 70 euro per l’inoltro attraverso servizio postale, spendere altri 200 euro. Tutto questo moltiplicato per ogni membro del nucleo famigliare e indipendentemente dalla durata del pds. Uno degli elementi qualificanti, si fa per dire, della legge Bossi-Fini, è stato quello di stabilire la regola che il pds ha una durata corrispondente a quella del contratto di lavoro. Com’è noto la maggior parte dei lavoratori extracomunitari è inserito nelle fasce più precarie del mercato del lavoro, attraverso agenzie di lavoro interinale o presso imprese con contratti a tempo determinato di durata trimestrale o semestrale, molto più raramente di durata annuale. Questo significa che, ogni qualvolta viene fatto un contratto di lavoro a tempo determinato, per esempio di sei mesi, viene rilasciato un pds della stessa durata e anche se ha una continuità di occupazione perchè gli viene rinnovato, dovrà chieder due volte l’anno il rinnovo del pds, per sé e i suoi famigliari a carico che si trovano in Italia.
Poco importa se poi, per ottenere il permesso, si attende più tempo di quello della durata del pds stesso. Addirittura oggi si prevede che, per premiare tanta efficienza amministrativa, vi sia il pagamento di una tassa di 200 euro per ogni richiesta di rilascio o rinnovo di permesso del soggiorno.
IL visto d’ingrsso per ricongiungimento familiare. Abolizione de termine di 180 giorni
A conferma del fatto che non sembra sia intenzione del Governo migliorare l’efficienza, o meglio ridurre l’inadempienza, dell’apparato pubblico in materia di adempimenti amministrativi relativi al soggiorno, si prevede sia soppressa la possibilità di chiedere direttamente il visto d’ingresso per ricongiungimento famigliare in caso di inerzia dello Sportello Unico.
La direttiva vigente dice che, una volta trascorso il termine assegnato allo Sportello Unico come limite per la consegna del nulla osta alla ricongiunzione famigliare, il soggetto interessato possa inoltrare direttamente la richiesta di rilascio del visto al consolato italiano competente, dimostrando l’avvenuta presentazione della domanda con tutti i documenti prescritti. Il termine del procedimento è stato raddoppiato da 90 a 180 giorni con il recente D. Lgs n. 160 entrato in vigore lo scorso 5 novembre. Nonostante questo si propone di rende impossibile la presentazione diretta presso il consolato italiano competente per l’avvio alla procedura del rilascio del visto, a fronte della perdurante inerzia dell’amministrazione competente.
Esibizione del passaporto
Sempre nell’ambito delle varie misure di sicurezza, si prevede una modifica all’art. 6, comma 3, del Testo Unico. Il testo in vigore prevede l’arresto fino a 6 mesi e l’ammenda di 416 euro per lo straniero che, senza giustificato motivo, non ottemperi all’ordine di esibizione del passaporto e del permesso di soggiorno. La nuova formula preveder l’arresto fino ad un anno e l’ammenda fino a 2000 euro, quindi il raddoppio della sanzione detentiva e la quintuplicazione della sanzione pecuniaria.
Favoreggiamento ingresso irregolare
Sono poi previste delle sanzioni molto più pesanti per il reato di favoreggiamento dell’ingresso irregolare nel territorio italiano o verso altri spazi aderenti allo spazio Shenghen. La cosa curiosa però è che, tra tutte queste ipotesi di reato, già previste dalla legge nell’art. 12 del T.U, vengono appesantite solo quelle relative all’ingresso ed al favoreggiamento dell’ingresso irregolare, mentre non viene minimamente presa in considerazione la violazione prevista nel comma 5 dell’art.12, relativa al favoreggiamento della permanenza irregolare nel territorio a scopo di ingiusto profitto. Si tratta del tipico reato che viene posto in essere quando si occupa un lavoratore irregolare in condizioni di palese sfruttamento. Evidentemente questo problema dello sfruttamento dei lavoratori in nero, non tocca la coscienza di chi ha messo mano a questo disegno di legge.
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