di Stefano Anastasia
La riforma delle intercettazioni è tornata in Commissione. Cercheranno il modo di far quadrare il cerchio, tra le motivazioni manifeste e quelle latenti, tra gli intendimenti degli uni e quelli degli altri. Vedremo cosa ne uscirà, se servirà a qualcosa, e a chi. Prima di essere frenato dai suoi gerarchi, Berlusconi si è buttato lancia in resta sulle “grandi riforme”, tra cui primeggia – nella sua testa – quella della giustizia. Lasciamo perdere il merito, e stiamo al metodo, che si potrebbe definire “induttivo”.
La forza di Berlusconi, si sa, è nel proporsi come un uomo comune, che si è fatto da sé e che ha avuto successo; nulla a che vedere con quei politicanti che non hanno mai lavorato o quelli che sanno tutto solo per averlo studiato sui libri. Berlusconi è “uno di noi”, come si direbbe in curva, e “uno di noi” non ragiona per massimi sistemi. Le proposte di Berlusconi sono le conseguenti considerazioni di un uomo comune sulle proprie esperienze quotidiane. Lo inseguono e lo accusano metà delle procure d’Italia, lui fa esperienza, vede come funziona la giustizia, e ne propone le riforme: intercettazioni, prescrizioni,… I malpensanti potranno chiamarle “leggi ad personam”, ma è solo metodo induttivo.
Se Berlusconi fosse proprio “uno di noi”, questo metodo potrebbe anche funzionare, ma non lo è; e allora, in assenza dell’idealtipo della vittima della giustizia, si potrebbe partire da un’altra parte, da un’altra storia. Perché non da Franco? 61 anni, originario del napoletano, condannato a 10 anni e spiccioli per fatti di droghe, contesta la sua perdurante assegnazione al circuito di Alta sicurezza, cui è costretto da una delle sue condanne, già completamente espiata.
Ma non è questo, ora, che ci interessa, quanto un curioso allegato alla sua missiva. Avrebbe voluto parlare con il magistrato di sorveglianza, della sua condizione e della possibilità di cominciare ad avere qualche permesso, avendo scontato buona parte della pena. Avrebbe voluto, ma il 20 febbraio scorso il direttore del carcere di Piacenza ha fatto affiggere il seguente “avviso alla popolazione detenuta”: «A richiesta dello stesso, si comunica che il magistrato di sorveglianza ha fatto conoscere che nei prossimi mesi, per problemi relativi alla mancanza di automezzo, non potrà recarsi presso l’istituto penitenziario al fine di effettuare colloqui con i detenuti». Niente soldi, niente auto, niente colloqui, nessun giudice? E non era ancora stata approvata la manovra economica… Induzione per induzione, perché non partire dai problemi di Franco e dei suoi compagni di sventura, se si vuole riformare la giustizia?