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di Alessio Scandurra
In una inter
vista ad Affari Italiani dell’8 giugno 2010 Carlo Giovanardi, Sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega sulla lotta alla droga, invoca l’applicazione della “sua” legge, nella parte in cui prevede l’affidamento terapeutico per i tossicodipendenti con un residuo di pena fino a 6 anni. Ci sembra una indicazione importante e da sostenere, sia per le attuali condizioni di intollerabile sovraffollamento delle carceri italiane, sia perché in effetti il carcere per i tossicodipendenti non serve proprio a nulla, ed in assenza di un intervento terapeutico i tassi di recidiva per loro sono infatti elevatissimi. Ma perché la legge Fini-Giovanardi non ha funzionato? Curiosamente per il sottosegretario “la complicazione è una sola: che la sanità penitenziaria è passata alle regioni”. Questa spiegazione però non sta in piedi, dato che per le tossicodipendenze questo passaggio si era già verificato con la legge n. 45 del 1999, e con l’accordo Stato Regioni sempre del 1999.
Nel 2006, al momento dell’entrata in vigore del provvedimento di indulto, a fronte degli oltre 16.000 tossicodipendenti ristretti nelle nostre carceri, i tossicodipendenti in affidamento terapeutico erano intorno ai 3.800. Alla fine del 2008 a fronte degli oltre 14.700 detenuti tossicodipendenti, quelli in affidamento erano poco più di 1.200, e 1.500 alla fine del 2009, a fronte però di un numero di tossicodipendenti in carcere certamente aumentato, ma che nessuno conosce. Un calo dunque del 60%, che certamente non è dovuto dal passaggio della sanità penitenziaria alle regioni.
Ma se non c’entra il passaggio della sanità penitenziaria alle regioni, come si spiega allora il crollo delle misure alternative terapeutiche segnalato sopra? Facciamo sommessamente notare che del 2006 ad oggi è intervenuta la legge ex Cirielli (l. 251/05), che pone ostacoli all’accesso alle misure alternative per i recidivi, e molti tossicodipendenti comprensibilmente sono recidivi, nonché la stessa legge Fini-Giovanardi (l. 49/2006), che rende più difficile l’accesso alle misure alternative per i tossicodipendenti, limitando ad esempio il numero delle concessioni, accentuando la natura custodialistica, anziché terapeutica, della misura, o dettando tempi troppo stretti per la presentazione della documentazione.
Davvero qualcuno si stupisce se con queste novità normative, e con la crescente diffidenza del legislatore verso le misure alternative, i magistrati concedono meno misure alternative, e se le ASL pagano meno volentieri le rette ai detenuti, concentrando le risorse di cui dispongono su altri pazienti meno “malvisti”? E’ davvero possibile sorprendersi se, a fronte di reiterate indicazioni politiche palesemente mirate al progressivo smantellamento del sistema delle misure alternative, le misure alternative calano?
Giovanardi fa bene a rilanciare il ricorso alle misure alternative, e in molti lo sosterremo in questo intento, ma crediamo anche che senza uno sforzo serio del governo, capace sia di rimuovere gli ostacoli normativi all’accesso alle misure, sia di dare una indicazione politica e culturale chiara, non si andrà lontano. Le misure alternative non sono condoni immotivati, ma modalità alternative di esecuzione della pena, più efficaci e rispettose del dettato costituzionale rispetto alla esecuzione della pena in carcere, e fintanto che chi governa il paese non si farà interprete di questa elementare verità, suffragata peraltro dai numeri, le misure alternative continueranno a calare, e fare a scaricabarile con le regioni non cambierà certo le cose.