Ieri, 22 gennaio 2014, al nostro arrivo in sede l'abbiamo trovata aperta, la porta scardinata, la buca delle lettere dove ci scrivono i detenuti divelta. Ci siamo trovati di fronte donne, di cui una incinta, e uomini che ci hanno detto che da quel momento quel piccolo locale di 25 mq, senza cucina, era loro. Noi eravamo lì ospiti di un'altra associazione. È una occupazione che ci amareggia e ci crea danni economici. Potevamo entrare in conflitto, resistere ma abbiamo deciso di andarcene, anche perché siamo contro ogni forma di violenza. Abbiamo preferito salvare la nostra enorme documentazione e il nostro archivio trentennale. Eravamo nel quartiere romano di Pietralata, non lontani dal carcere romano di Rebibbia.
Ora siamo senza sede, per qualche tempo non possiamo rispondere a chi ci contatta, a quelle decine di detenuti che ci scrivono ogni settimana. Da oggi ci guarderemo intorno per trovare una soluzione.