Ok a Pisapia. Ma l'ergastolo divide l'Unione
Il Prc, i Verdi e Salvi (sinistra Ds) appoggiano la proposta di abolizione del carcere a vita. «Sì» anche da Md. Contrari i Ds, la Margherita e il Pdci, che però danno via libera al processo di depenalizzazione promosso dalla commissione per la riforma del codice, presieduta da Pisapia
Alessandro Mantovani
La depenalizzazione va bene. La «decarcerizzazione» anche. Sono tutti o quasi d'accordo, nell'Unione, sui principi che ispirano i lavori della commissione per la riforma del codice penale, presieduta da Giuliano Pisapia su incarico del ministro della giustizia Clemente Mastella. «Meno reati e meno carcere», così, per dirla con uno slogan, l'ha sintetizzata lo Pisapia.
Vuol dire che alcuni illeciti minori, ad esempio la falsificazione dei biglietti del tram oggi prevista come reato, saranno sottratti al giudice penale e puniti in via amministrativa, sollevando i tribunali di vicende di lieve entità che ne aggravano lo spaventoso arretrato ma contribuiscono a prolungare all'infinito la durata media dei processi, per la quale l'Italia ha la maglia nera in Europa. La «decarcerizzazione» è un obiettivo ben più ampio e ambizioso: per alcuni reati sarebbero previste pene non detentive, compreso il risarcimento del danno per l'autore del furto o la chiusura del negozio per il commerciante che espone merci scadure, in modo da riportare il carcere alla natura di «estrema ratio». L'esatto contrario del codice in vigore, datato 1930 e sottoscritto dal guardasigilli fascista Alfredo Rocco, sia pure modificato in epoca repubblicana (e a volte in peggio), che prevede pene detentive severissime di fatto non applicate per mille ragioni, dalle scelte della giurisprudenza agli effetti della legge Gozzini e delle «misure alternative». «Un codice che fa la faccia feroce anche se poi alle minacce non seguono i fatti», dice Pisapia. Basta pensare che per resistenza a pubblico ufficiale si possono prendere, in teoria, cinque anni, per una rapina non aggravata fino a dieci. Ma poi sotto i due anni c'è la condizionale e non si va in carcere, gravando tuttavia sui tribunali, poi c'è l'affidamento in prova e se vai dentro ci sono i permessi e la semilibertà, la buona condotta e la liberazione anticipata. «Così un condannato a nove anni per una grave violenza sessuale esce dopo due o tre anni», dice Luigi Luisi della Margherita.
La commissione presieduta da Pisapia e composta di autorevoli professori, avvocati e magistrati, da Luigi Ferrajoli a Franco Coppi e ai presidenti di sezione della cassazione Giorgio Lattanzi e Giovanni Silvestri, discute in questi giorni della questione delle pene. E Pisapia vorrebbe andare fino all'abolizione dell'ergastolo: un massimo di 32 anni di reclusione possono bastare.
Rifondazione, il suo partito, si mobilita, pronto a farne una campagna, come ha annunciato Imma Barbarossa ieri sera concludendo i lavori di un convegno di Rifondazione: «Bisogna passare dal programma alle iniziative legislative», ha detto. «Riduzione e certezza delle pene e abolizione dell'ergastolo sono l'abc di un garantismo non buonista e non peloso», aggiunge Giovanni Russo Spena, capogruppo Prc al senato. Anche i Verdi sono d'accordo: «Abolire l'ergastolo sarebbe l'attuazione dell'articolo 27 della Costituzione secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato», osserva Marco Boato, che sta preparando una proposta di riforma dell'ordinamento penitenziario insieme all'ex direttore del Dap Alessandro Margara. Luce verde dal segretario di Magistratura democratica Ignazio Juan Patrone, che sulle ipotesi di riforma del codice dice: «Aspettiamo le proposte ma se queste sono le anticipazioni siamo sulla strada giusta. Va benissimo se non è solo una depenalizzazione, che in passato non è servita, e riguarda reati come la diffamazione, l'ingiuria o la minaccia semplice, che tuttavia non sono affatto lievi per chi li subisce». Sì anche all'abolizione dell'ergastolo: «Il 'fine pena mai' riguarda un numero limitatissimo di persone - dice Patrone - ma a una condanna all'ergastolo segue comunque una stigmatizzazione che dura per tutta la vita».
La proposta di cancellare il carcere a vita non è una novità, i radicali la proposero per via referendaria la bellezza di 25 anni fa. Non passò. «Ma anche il Pci la sostenne», ricorda Cesare Salvi della sinistra Ds, presidente della commissione giustizia del senato, oggi come allora favorevole. La stessa proposta arrivò nel 2000 dalla commissione presieduta da Carlo Federico Grosso, istituita dall'allora ministro della giustizia Oliviero Diliberto, i cui lavori sono stati acquisiti dalla commissione Pisapia, «ma la risposta fu negativa, di quel progetto non se ne fece nulla - sottolinea Massimo Brutti, responsabile giustizia dei Ds - L'abolizione dell'ergastolo per i reati di mafia o altri si scontra con il senso comune di almeno una parte del comune: rischia di creare un contraccolpo che renderà irraggiungibili gli obiettivi più strategici, la depenalizzazione e delle misure alternative al carcere». Anche Sergio Pastore Alinante, già membro del Csm e responsabile giustizia Pdci, è contrario all'abolizione dell'ergastolo. E Luigi Lisi, avvocato ed ex magistrato, esponente della Margherita, va oltre: «Non basta ridurre i reati e le pene, per abbassare la durata dei processi bisogna intervenire soprattutto sul codice di procedura».