«Bisogna spiegare ai cittadini che tenerli
in carcere costa molto e poi restano da noi»
di Francesco Grignetti
ROMA. Lo dice lui per primo, il ministro Giuliano Amato, che è una proposta che «rischia di essere fraintesa». Ma non importa. A suo giudizio l’idea è buona. E dunque: «Si potrebbe pensare di offrire un incentivo all’immigrato clandestino per convincerlo a tornarsene a casa. E’ quanto stanno sperimentando in Francia. Si potrebbe provare anche da noi». Un incentivo. Al ministro dell’Interno piace più chiamarlo «bonus». La sostanza però non cambia. Soldi dallo Stato in cambio della cortesia di togliere il disturbo. Proposta-choc, senza dubbio. Un bel cambio di linea rispetto alle politiche della destra, o no? Amato si permette una buona dose di ironia: «Toglietevi dalla testa il gusto di tenere in prigione chi ha commesso reati».
Pragmatismo, piuttosto. «Io sono realista. Bisogna spiegare ai cittadini che il costo di tenerli in carcere, a intermittenza, costa molto di più. Ed è inefficace perché poi questi indesiderabili restano da noi lo stesso».
Al ministro Amato non piacciono le attuali politiche contro l’immigrazione clandestina. Le considera inutili e troppo costose. La strategia che ha in mente è tutta diversa: spostare l’energia, l’attenzione, i soldi e pure gli interventi repressivi dall’Europa ai paesi del Terzo Mondo. Gli piacerebbe controllare le piste del Sahara, ad esempio. O i porti della Libia. Gli piacerebbe anche vedere liste di collocamento per extracomunitari nei consolati italiani. «Stiamo facendo uno studio di fattibilità assieme alla Farnesina», spiega ai senatori che lo hanno ascoltato ieri in commissione Affari costituzionali. «Certo, per questo tipo di politica serve che funzionino i consolati e nemmeno in tutto il mondo, ma nei dieci-quindici Paesi che forniscono il vero bacino dell’emigrazione».
Non gli vanno giù nemmeno i Cpt così come li ha ereditati: ne vorrebbe una versione rigorosa per chi delinque e va espulso, ben distinta da quelli «di vera accoglienza». Due categorie differenti. «Non si può mettere insieme una mamma africana con il suo bambino appena sbarcati, e chi ha commesso reati e magari pensa a un’evasione». Ma i centri di accoglienza, comunque li si voglia chiamare, sono necessari: «Non possiamo mica lasciare su una strada chi sbarca da un barcone. Li dobbiamo accogliere. E li dobbiamo anche visitare. Sono un pericolo sanitario. Serve una verifica. E’ gente povera che viene da Paesi poveri, dove la sanità è modesta e dove ci sono malattie come la scabbia o la tubercolosi».
Il cuore del ragionamento è come liberarsi dei clandestini. «Un problema che abbiamo tutti noi europei. Zapatero, ad esempio, dice di voler espellere centinaia di migliaia di clandestini. Sì, ma come? Dove mandarli, se non hanno documenti e se non si conosce il loro Paese?». Torna sul concetto diverse volte: «Si rischia di creare una marea di dannati in giro per l’Europa che non possiamo mettere in regola né cacciare». Un incubo per i ministri dell’Interno. Tanto vale, allora, provare con «una politica premiale». Che ha subito scatenato polemiche. «Mi hanno detto che ero troppo benevolente con i criminali: “Vengono in Italia e gli dai pure il bonus...”. Certo, bisogna evitare che diventi un incentivo ad arrivare. Ma io penso a questo tipo di intervento come a un modo di ricostruire la radici. C’è gente che vive da noi, è entrata clandestinamente, non ha mai messo radici, ma allo stesso tempo si è sradicata dal Paese d’origine. E noi l’aiutiamo a ricostuirsele là, le radici».
E i costi? «A parte che tenerli in carcere o nei Cpt costa moltissimo, si può pensare che gli imprenditori diano un contributo al Fondo per i rimpatri volontari. Oggi la legge prevede che abbiano già in tasca il biglietto aereo di ritorno. Ecco, questa mi sembra un’esagerazione».