Rimpatri e centri di detenzione, l'altro volto di Zapatero
13 mila africani rispediti a casa dall'inizio dell'anno, centri al collasso. E l'89% degli spagnoli teme l'immigrazione
Oscar Guisoni *
Madrid
La Spagna sta affrontando l'affluenza immigratoria dall'Africa con una miscela di preoccupazione, sconcerto e un pizzico di senso di colpa. Un'inchiesta di Cadena Ser, la radio più ascoltata nel paese, ha reso pubblico che l'89% della popolazione pensa che stiano arrivando troppi immigrati nel paese. L'immigrazione, per il sondaggio, è la principale preoccupazione degli spagnoli, superando per la prima volta in tanto tempo il terrorismo dell'Eta e la disoccupazione. E' per questo che il governo di José Zapatero cerca di mostrarsi determinato con l'immigrazione illegale anche se, consapevole che il fenomeno sta debordando da ogni lato, non ha dubitato a chiedere aiuto all'Ue. La risposta però non non è stata piacevole: il ministro dell'interno tedesco, Wolfang Schäuble, ha criticato gli spagnoli per aver richiesto fondi supplementari all'Ue per fronteggiare il fenomeno e Bruxelles ha raccomandato alla Spagna che, se vuole aiuti economici, prima deve cacciare tutti gli immigrati già arrivati sul suo territorio. Per complicare di più la posizione del governo, l'opposizione di centrodestra continua con la cantilena secondo cui il crescente flusso immigratorio si deve al cosiddetto «effetto chiamata» conseguente alla legalizzazione massiccia di immigrati voluta da Zapatero due anni fa.
Dall'inizio dell'anno, la Spagna ha rimpatriato 13.055 africani e per farlo ha dovuto scontrarsi con le enormi resistenze di quegli stessi paesi africani da cui ha origine il fenomeno. La legge spagnola impedisce che venga espulsa dal paese una persona che non è accettata dal paese di origine. Per i paesi africani la questione è molto semplice: gli immigrati residenti in Europa si sono trasformati, nella maggior parte dei casi, nella principale fonte di entrata economica dei loro paesi. Tanto che non vogliono neanche sentir parlare di rimpatrii concertati. In Spagna ci sono già oltre quattro milioni di immigrati legali, l'8% della popolazione. Sono loro ad aver contribuito a superare il cronico deficit dell'indice di natalità di cui la Spagna soffriva da un decennio, anche i loro contributi assicurativi aiutano a coprire l'enorme costo sociale dello stato e, in alcuni settori economici, come l'edilizia, l'agricoltura e il sevizio domestico, sono diventati indispensabili. Ma l'esodo africano comporta problemi di difficile soluzione.
I Centros de internamiento de inmigrantes (Cies) sono superati. Dopo che il governo ha elevato a 6 metri di altezza la barriera di filo spinato che circonda le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, il fenomeno si è trasferito sulle isole Canarie dove la situazione è già al limite del collasso. Davanti alla saturazione dei Cies i servizi di sicurezza statali hanno occupato navi abbandonate nel porto, un'area polisportiva municipale, il garage di un commissariato, fino ad arrivare a un vecchio ristorante in rovina. Diverse organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato maltrattamenti agli immigrati da parte delle forze dell'ordine. La società spagnola intanto osserva il fenomeno con grande preoccupazione e un po' di colpa. Da un lato sa che non può prescindere dagli immigrati se pretende che l'economia continui a crescere al ritmo del 3,5 o 4% del Pil all'anno, molto oltre la media europea. Ma teme anche che l'invasione finisca col provocare tensioni sociali, un po' sullo stile di quelle che hanno incendiato le periferie francesi all'inizio dell'anno. Le forze politiche non smettono di dibattere sui modelli di integrazione necessari per evitare future tensioni, ma nessuno sembra avere una soluzione convincente. Intanto gli immigrati continuano ad arrivare.
* Pagina 12 (Traduzione di Marina Zenobio)