Imma Barbarossa*, Gennaro Santoro**, 10 ottobre 2006
Al via la campagna per l'abolizione dell'ergastolo. Per favorire il reinserimento del reo in società, ma anche per proporre un nuovo sistema delle pene
Questa sera a L'Aquila parte la campagna per l'abolizione dell'ergastolo con il segretario del PRC Franco Giordano. Una battaglia di civiltà, già iniziata in più legislature, ma mai portata a termine. Il pdl presentato dall'intero gruppo del PRC il 2 ottobre scorso alla Camera è infatti la riproposizione del testo che nel 1998 fu licenziato dal Senato della Repubblica, arenatosi poi alla Camera dei Deputati. Non bisogna dimenticare, d'altronde, che già nei lavori dell'Assemblea costituente, soprattutto da parte di coloro che avevano sofferto lunghissimi anni di detenzione durante il fascismo, furono espresse molte riserve sul carcere a vita; tuttavia, al problema non fu dato un diretto sbocco a livello costituzionale, ritenendo che lo stesso dovesse essere affrontato, e risolto, dal legislatore ordinario nell'ambito di una revisione generale del sistema delle pene.
Oggi, la Commissione Pisapia per la riforma del codice penale, e indipendentemente da questa il dibattito parlamentare, hanno l'occasione di proporre una generale rivisitazione di molti istituti del diritto penale, e un loro adeguamento alla realtà del paese, certamente diversa da quella del lontano 1930, data di nascita dell'attuale (sic!) codice penale. Una battaglia, quella per l'abolizione del ‘fine pena mai', fermata quindi dall'infervorato clima dell'emergenza, della tolleranza zero e delle campagne securitarie che hanno caratterizzato il belpaese nell'ultimo trentennio, dalla stagione terroristica al terrorismo statuale attuato contro i consumatori di sostanze stupefacenti, gli immigrati e i marginali.
Un clima che non ha certo portato ad una maggiore sicurezza dei diritti di tutti, quanto piuttosto ad una ipertrofia della legislazione penale che ha inflazionato i nostri tribunali, impedendo che gli autori di delitti efferati fossero neutralizzati in tempi ragionevoli.
In altre parole, le campagne elettorali securitarie, dalla DC di Forlani del '75 fino ai giorni nostri, hanno soltanto assicurato l'impunità per chi può pagare avvocati in voga, relegando nel ghetto del carcere i soggetti marginali e non abbienti, della società cosiddetta ‘civile' così come nell'organizzazione criminale di appartenenza.
Per questo la battaglia contro l'ergastolo non è solo una campagna ‘umanitaria' per restituire il sistema delle pene al principio personalista proprio della nostra Costituzione; non è solo l'attuazione del principio costituzionale secondo cui le pene devono tendere al reinserimento sociale del reo (cosa evidentemente impossibile nella previsione del ‘fine pena: mai'); piuttosto è una battaglia culturale per smontare il mito della sicurezza, che tanto fa comodo ai politici di turno per accaparrarsi voti a buon mercato, e proporre un nuovo paradigma: dal diritto alla sicurezza, alla sicurezza dei diritti di tutti, da quelli liberali a quelli sociali che dovrebbero caratterizzare lo stato moderno di diritto. Un nuovo sistema delle pene che passi dalle attuali 5000 - 10000 fattispecie delittuose ad un numero più contenuto di reati che realmente offendono beni giuridici meritevoli di tutela, così da permettere una giustizia più efficace e rapida. Un sistema dell'esecuzione delle pene che releghi ad extrema ratio il ricorso al carcere, avendo in mente che il tasso di recidività è di quattro volte superiore per chi esce dal carcere rispetto a chi ha terminato una misura alternativa.
Solo seguendo questa strada potrà aversi più giustizia e più sicurezza: i processi non dureranno più dieci anni, i rei (quelli veri!) verrebbero neutralizzati in tempi ragionevoli e chi è sottoposto ad una misura limitativa della libertà non vivrebbe in condizioni disumane ed avrebbe maggiori possibilità di tornare in società come persona ‘responsabile' e con la prospettiva di un futuro diverso.
L'ergastolo e la pena carceraria rappresentano prevalentemente una interpretazione, per così dire, vendicativa delle parole giustizia e sicurezza. Solo un cambio di paradigma, solo una coscienza culturale diffusa attenta alla prevenzione dei reati piuttosto che alla tolleranza zero, ad un sistema giustizia più efficace ed equo piuttosto che al fine pena mai, possono darci libertà, sicurezza e giustizia.
* Segreteria nazionale del Prc
** Dipartimento Giustizia del Prc