Un’hostess sospesa perché indossava il crocifisso, un’insegnante a causa del velo. Studenti musulmani spiati dal governo
Oltremanica imperversa la questione “multiculturale”. Un dibattito acceso ma anche un pretesto per affinare la “lotta al terrorismo”
Francesca Marretta
«Cosa non indossare?» Non è il titolo di copertina di una rivista di moda, ma quello dell’inserto del quotidiano britannico The Independent in edicola ieri. Sulla pagina di apertura un disegno a quattro quadranti ritrae un crocifisso portato al collo, un turbante, un ijab ed una kippah. Le espressioni culturali, o di credo religioso nel Regno Unito, non sono mai apparse tanto controverse come in questi giorni. «Il crocifisso mi fa sentire più vicina a Dio» ha dichiarato Kerlisha Allan, 23 anni di Londra, un lavoro come addetta all’assistenza clienti ed un piercing al lato del labbro superiore. Sulla foto che la ritrae mostra la croce che porta sempre al collo. «Non dovrebbero esserci discriminazioni contro le persone che indossano simboli del proprio credo», ha dichiarato la giovane. Diversi episodi registrati di recente sembrano piuttosto suggerire ai sudditi di sua maestà britannica l’opportunità di guardarsi allo specchio prima di uscire di casa per sincerarsi di di non ostentare simboli di appartenenza culturale. Una strategia che può rivelarsi utile a non mettersi nei guai. Non ci ha pensato Nadia Eweida, assistente di volo della British Airways di religione copta cristiana sospesa la scorsa settimana mentre si apprestava al turno ai banchi del check-in all’aeroporto di Heatrow, per essersi rifiutata di coprire con un foulard il girocollo con la croce che portava al collo. Stessa sorte toccata ad Aishah Azmi, insegnante licenziata da una scuola dello Yorkshire occidentale perché indossava il velo. Le autorità scolastiche della Headfield Church of England Junior School, di Dewsbury, dove la donna era impiegata come insegnante di lingua inglese, sostengono che la misura disciplinare sia stata dettata dall’incompatibilità tra il portare un velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi e la funzione di insegnamento, in quanto la mimica nello scandire le parole costituirebbe parte integrante della funzione, di conseguenza gli allievi avrebbero tratto svantaggio dall’insegnamento della giovane musulmana. Aishah nega tale circostanza, sostenendo di avere indossato il velo davanti ai colleghi maschi e esserselo tolto davanti agli studenti, aggiungendo che «nessun alunno», si era mai lamentato.
La questione centrale relativa al multiculturalismo in Gran Bretagna resta in questa fase quella riferita ai cittadini di religione musulmana. Da quando lo scorso 6 ottobre l’ex ministro degli Esteri ed attuale capogruppo del partito laburista alla Camera dei comuni Jack Straw, ha dichiarato dalle pagine del Lancashire Evening Telepgraph di sentirsi a disagio di fronte alle donne col volto coperto dal velo in quanto «visibile elemento di separazione e di differenza», la polemica con la comunità musulmana ha subito un impennata, così come, secondo Azad Ali, presidente del Muslim Safety Forum, gli atteggiamenti islamofobici. Per citare alcuni episodi, (dal 6 ottobre ad oggi) una donna di 20 anni si è vista strappare il velo da un uomo alla stazione della metropolitana di Canning Town (Londra), lo stesso è accaduto a Liverpool. Altri episodi di abusi verbali sono stati registrati Blackburn, Canterbury e a Leicester, mentre a Glasgow in Scozia domenica scorsa Mohammed Shamsuddin, imam 53enne, originario del Bangladesh, è stato aggredito con pugni, calci, una cassaforte e una sedia, mentre si trovava in una moschea.
Ieri il primo Ministro Tony Blair ha ribadito che il velo indossato dalle donne musulmane è «un segno di separazione» dal resto della società. Confermando la posizione di Straw, Blair ha sottolineato che le persone che non fanno parte della comunità musulmana si sentano a «disagio» dinanzi a una donna velata. Per i conservatori britannici «esiste l’impressione crescente che la comunità musulmana sia eccessivamente sensibile alla critiche, poco disponibile a un dibattito reale», come ha dichiarato dalle pagine del Sunday Telegraph lo scorso lunedì il ministro ombra David Davis, che ho accusato i leader della comunità islamica britannica di essere impegnati ad incoraggiare in una sorta di «apartheid volontario» della propria comunità. «Io rispetto la vostra religione, voi rispettate la mia e tutti rispettiamo le nostre leggi, nessun trattamento speciale», ha sentenziato Davis.
Nel dibattito sul multiculturalismo che imperversa in questi giorni, in cui rientra anche la proposta del governo di inserimento nelle scuole confessionali di quote riservate ad allievi appartenenti ad una o più religioni o culture differenti, si inserisce una direttiva del Dipartimento dell’Istruzione di cui dà notizia il quotidiano The Guradian che, se confermata, potrebbe avere l’effetto di gettare benzina sul fuoco nelle relazioni interculturali. Secondo le rivelazioni del quotidiano entro la fine dell’anno saranno inviate istruzioni ai responsabili di Università e centri di ricerca che invitano docenti e personale universitario a “sorvegliare” gli allievi musulmani, in particolar modo quelli di origine asiatica. Segnalare elementi “sospetti” servirebbe alla causa della lotta al terrorismo. Per le autorità britanniche i campus universitari sarebbero un «terreno fertile di reclutamento» per le organizzazioni estremiste islamiche. Dunque «spiare» gli studenti musulmani farebbe del docente o inserviente delatore un cittadino responsabile. Per questo, secondo il documento di 18 pagine di cui il Guardian dà notizia, gli addetti ai lavori degli atenei dovranno preoccuparsi di trasmettere di propria iniziativa informazioni “sensibili” all’antiterrorismo, senza attendere di essere contattate da Scotland Yard. In cima alla lista degli elementi da sorvegliare vi sarebbero gli studenti “meno integrati” e quelli appena iscritti all’Università, in quanto elementi maggiormente malleabili. Per Wakkas Khan, presidente della Federation of Student Islamic Societies, la direttiva rischia di diventare «la più grave violazione dei diritti degli studenti musulmani mai verificatasi» in Gran Bretagna, mentre per Gemma Tumelty, presidente del sindacato degli studenti britannici, «in questo modo ogni studente musulmano sarà trattato con sospetto a causa della sua fede». Per la leader del sindacato studentesco l’iniziativa del governo equivale ad un «ritorno al maccartismo». O più banalmente una forma di razzismo.