Capita anche questo. Che giovedì 19 ottobre si potevano leggere, sulla home page del sito del Corriere della Sera, i seguenti titoli di testa: "Perugina, picchiata e violentata: fermati due romeni"; e poi, con riferimento all’incidente nel metrò di Roma, "La storia dei due angeli romeni, fuggiti dopo aver aiutato". Capita, cioè, che quell’informazione sulla nazionalità, in riferimento ai protagonisti di due fatti di cronaca di segno così distante, finisca per acquisire un valore particolare, che molto suggerisce sulla "cornice di senso", attribuita dall’informazione giornalistica alla questione-immigrazione.
Così, innanzitutto, apprendiamo di una donna e della sua sciagurata storia di violenza e sopraffazione: "Prima un aperitivo e due chiacchiere davanti al bancone del bar, poi la proposta di seguirlo nel suo appartamento.Qui le minacce, le botte e la violenza sessuale, perpetrata per quasi tutta la notte, dall’uomo che l’aveva invitata e da un suo amico. È la sorte toccata ad una donna di 37 anni di Perugina, che ha riconosciuto come suoi aggressori due cittadini rumeni di 31 e 32 anni, clandestini, ora sottoposti a fermo di polizia giudiziaria con l’accusa di sequestro di persona, violenza sessuale e lesioni aggravate". Punto e a capo e leggiamo dei soccorsi prestati, con tempestività e coraggio, nel caos dei minuti seguiti alla collisione dei treni, nel sottosuolo di Roma: "Chi erano e dove sono finiti i due stranieri che hanno aiutato i feriti, li hanno confortati ma anche curati, così come potevano, nei primissimi istanti della tragedia? Appena arrivati i soccorsi ufficiali e le forze dell’ordine sono infatti scomparsi, probabilmente fuggiti. Ora molti dei passeggeri cercano questi due uomini, romeni dicono, che si sono dati da fare. "Forse sono due clandestini ma la gente si è rivolta a noi per ringraziarli", dicono due tecnici che hanno lavorato per ripristinare la metropolitana. (…)
Al momento dell’impatto dei due treni avvenuto i due romeni non hanno perso la calma e ovunque sentivano un grido o un lamento si precipitavano. Hanno aiutato molti a liberarsi dalle lamiere, alcuni passeggeri li hanno visti praticare massaggi cardiaci e respirazioni bocca a bocca. Hanno avuto parole di conforto per tutti, incuranti del fatto che la tragedia la stavano vivendo anche loro. Ma poi con l’arrivo dei soccorsi e delle forze dell’ordine, i due si sono dileguati, correndo per le scale mobili e senza lasciare nessuna traccia".
Nel primo caso, come nel secondo, quel dato sulla nazionalità dei protagonisti dei fatti viene trattato con assoluto rilievo. Cosa vuole "spiegare"? Cosa intende suggerire? La notizia (il suo carattere di eccezionalità, per così dire) è nella violenza, in un caso, e nell’altruismo disinteressato, nell’altro? O ha qualcosa a che fare con la costruzione mediale di uno stereotipo fosco e nell’eccezione che lo promuove a regola? Uno stupro ha un valore diverso, se a commetterlo è un italiano o uno straniero, un uomo alto o tarchiato, biondo o moro, povero o ricco?
Come pure: un atto di eroismo è ancor più eroico, e "più nobile", se proviene da chi in Italia non è nato e forse non potrebbe risiedervi, perché - così dicono i mass media, la pubblica opinione e la legge - "clandestino"? Non ci nascondiamo dietro a un dito: sappiamo che una parte significativa della aggressioni alle donne, di cui si ha notizia, vede protagonisti immigrati irregolari (rumeni, in misura rilevante); come sappiamo che, per chi deve nascondersi alla giustizia perché sprovvisto di un permesso di soggiorno, rimanere sul luogo di un incidente come quello di Roma comporta un margine di rischio non trascurabile.
Non ci nascondiamo, altresì, che il tono complessivo della comunicazione a mezzo stampa (e non solo) si risolve assai spesso in una narrazione cupa e morbosa, correlata all’allarme sociale e giocata sull’associazione tra immigrazione (per lo più irregolare) e devianza. E non dimentichiamo che esiste una realtà consistente, frammentata e tutt’altro che univoca, nei suoi caratteri qualificanti, che si chiama "giornalismo locale"; e che racconta, sovente, di un’Italia in miniatura non così diversa, nel suo senso comune, da quella che finisce sulle prima pagine dei quotidiani nazionali. Un’ Italia fatta di senegalesi sorpresi con Dvd contraffatti, ladri di polli ucraini arrestati dai carabinieri, gente che scopre un immigrato in sella alla bici rubata tre giorni prima alla madre (non sono titoli di fantasia). È la sedimentazione, costante e inesorabile, di un paradigma cognitivo che associa la condizione di straniero - fisiologicamente, verrebbe da dire - a quella di pericolo sociale.
Eppure, i dati parlano chiaro: la maggior parte (oltre il 90%) degli stupri e delle violenze sessuali avviene in famiglia e tra le mura domestiche, a opera di genitori o parenti. Lo sappiamo: mentre giovani magrebini o slavi assaltano donne italiane, un numero ben maggiore di uomini italiani assalta donne italiane (o magrebine o slave).
Lo sappiamo, ma saperlo non risolve assolutamente niente. Non aiuta a difendere le donne e non contribuisce nemmeno a ridurre la xenofobia (che, alla lettera, significa "paura dello straniero") nei confronti della popolazione immigrata. È come se la violenza di un italiano contro un’italiana facesse parte di un paesaggio conosciuto, ancorché pericoloso e, appunto, "familiare"; per contro, è come se lo stupro a opera di uno straniero evocasse paure ancestrali, risuonasse nell’inconscio collettivo come l’eco di una maledizione antica, di una calamità fatale.
E "straniero" e "barbaro". A quel male (a questa costruzione di un "altro da sé"), il giornalismo nostrano oppone, quando può, una cronaca "più edificante" e risarcitoria: e ci tiene a informare che gli angeli del metrò di Roma sono stranieri (e magari non innocui filippini, magari romeni...); che la badante 27 enne che quest’estate morì nel mare dell’Argentario per salvare la bambina che accudiva da due anni, era honduregna e senza permesso di soggiorno.
Chi è mai, allora, questa gente approdata in Italia da luoghi vicini e talvolta remoti, sovente così violenta ed efferata, talvolta capace di tanta gentilissima e sublime umanità? La domanda esige un’opera, tutt’altro che banale, di comprensione e "riconoscimento". Solo se quest’opera verrà realizzata, gli stupratori rimarranno sullo sfondo, confusi e ridimensionati - e arrestati e condannati - tra tanti altri stranieri, che non stuprano e non delinquono: e che sono così simili a noi, gente comune tra gente comune, con molti difetti e qualche virtù. Gente che non fa notizia, che non finisce sui giornali.