La Bossi-Fini? Cambiamola dal basso
Ieri a Brescia la Conferenza nazionale dei metalmeccanici migranti.Il segretario generale della Fiom Rinaldini: «Rompere il legame tra permesso e lavoro, finirla con la discriminazione»
Claudio Jampaglia
Brescia nostro corrispondente
«Il futuro è costruito insieme o non è. E anche al nostro interno abbiamo bisogno di un esame critico, di forzare tempi e partecipazione dei lavoratori immigrati alla vita del sindacato, perché nel senso generale di precarietà e insicurezza odierne il lavoro si frantuma e rimane solo merce e in queste condizioni è guerra tra poveri». Il luogo è Brescia, la capitale del lavoro migrante in Italia, il sindacato è la Fiom e il suo segretario generale è Gianni Rinaldini che i conti con il “leghismo” dentro il sindacato operaio per eccellenza li fa in pubblico. Perché nonostante la Fiom di partecipazione migrante ne abbia da anni (solo a Brescia sono 60 delegati d’azienda), migrazioni e integrazione sono lo specchio di tutta la società. «E’ necessario rompere il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro - spiega Rinaldini - altrimenti il lavoratore migrante sarà nelle mani del datore di lavoro con tutta la sua vita». Licenziabile e clandestino. Ricadendo su tutti. Per questo è necessario «organizzare tramite la Fiom una parte del lavoro migrante e dargli forza politica e contrattuale», spiega Giorgio Cremaschi. Come i metalmeccanici segnarono «l’avanzamento generale di classe», spetta all’avanguardia fiommina aprire le porte al lavoro organizzato dei migranti: «Ci vuole un cambiamento legislativo, una battaglia politica e culturale, perché i migranti ci saranno comunque con o senza diritti e noi abbiamo bisogno di loro non solo per lavorare ma per migliorare le condizioni del lavoro e delle imprese. Bisogna finirla con la persecuzione del lavoro migrante». La Conferenza nazionale dei metalmeccanici migranti si apre con un’intervista a Fabrizio Gatti che ha raccontato da dentro il Cpt di Lampedusa e la schiavitù nei campi di pomodori del foggiano. Il giornalista parla dei Cpt, «uno spreco inutile per gli scopi cui dovevano servire», e di un “nuovo apartheid” via Turco-Napolitano e Bossi-Fini: «A Milano una petizione popolare ha fatto chiudere lo zoo mentre si apriva il Cpt di via Corelli», quello con le gabbie e dentro gli umani. La paura dell’altro creata e gestita politicamente. Lo spiega bene il Gruppo “immigrazione” della Fiom bresciana tornando all’agosto dell’omicidio di Hina e di delitti orrendi accomunati dal “pericolo straniero”, anche quando il massacratore è italiano. Un po’ come quando succedeva che la “rapina all’ufficio postale”, diventasse nei titoli in edicola: “Calabrese rapina ufficio postale”. Con l’autunno il clamore si è allontanato e nessuno parla della deportazione dei rom per far posto a un parcheggio in aperta campagna a Chiari o dell’incentivo di 500 euro a clandestino acciuffato per i vigili di Adro. Eppure la percezione reale del fenomeno migratorio dovrebbe essere ormai stabilizzata, proprio nel Nord produttivo dove risiede il 64% dei 2,7 milioni di regolari in Italia (un quarto in Lombardia) per oltre il 70% assunti a tempo indeterminato e a tempo pieno. Lavorano più degli italiani, pagano i contributi ma non hanno alcun riconoscimento. Invece, «i veleni del razzismo condensati nella Bossi-Fini sono penetrati fin dentro la nostra gente», dice amaro il segretario generale della Camera del lavoro di Brescia, Dino Greco. Perché in Italia ormai esiste un “diritto duale”, gli italiani hanno la Costituzione e i diritti dei migranti «sono automaticamente subappaltati al padrone». «Ma il ministro dell’Interno ha capito che lo Stato deve favorire un processo di integrazione dell’immigrato e non essere complice degli aguzzini del nero? Che uomini e donne liberi, con diritti politici e sociali sono il presupposto dell’integrazione?».Un protagonismo migrante c’è, irreversibile, basta ascoltare. Antonio Zacarias, argentino di Treviso, parla ai “fratelli stranieri”: «Siamo venuti chi per una guerra, chi come me per una crisi finanziaria, chi per la povertà, ma gli stessi che vendono le armi qua le producono, gli stessi che speculano da noi lo fanno qua, gli stessi che hanno piegato un paese siedono in Confindustria; là ci tolgono il lavoro qui i diritti». Antonio è fiducioso: «Prima o poi vinceremo, lo dice la storia del mondo, io ho tre figli e domani saranno tre voti contro il razzismo». La via proletaria migrante. Ibrahim Seck racconta del primo giorno di lavoro sindacale con un funzionario “nativo” nella grande fabbrica bergamasca; il vigilante all’entrata gli chiede: «Ma anche lei è del sindacato»; «Si»; «Allora è finita». Ma questi migranti non si fermano a se stessi. Ben Houmane El Araby, racconta i primi sei mesi Fiom passati davanti ai cancelli delle fabbriche ad avvicinare i lavoratori. Cita le fabbriche e le lotte, i 100 giorni e le 100 notti della Fiom davanti alla Pietra, dalla segretaria Michela Spera all’ultimo funzionario. In tanti sono stati a Roma contro la precarietà e sanno bene dove vivono. Mahmadou Wone da Milano, «fa i sinceri auguri di salute e prosperità ai senatori a vita», ma vuole anche dire al ministro Ferrero che 71 euro per i permessi di soggiorno (30 alle poste 27 per il tesserino e 14,72 euro di tassa) «il governo se li è presi e questo non è giusto»: «Ci dicono malati, sporchi e poveri ma facciamo il conto di quanto ha preso lo Stato per regolarizzarci?». Baba Seck, delle officine meccaniche di Reggio Emilia (settimana in fabbrica, il sabato all’ufficio vertenze), parla del disastro del ricongiungimento familiare, delle pratiche che si comprano fuori dalle ambasciate: «L’immigrato è una mucca da mungere, paga tutto e mi chiedo come cavolo fanno a inventare robe del genere. La cosa che mi fa incazzare di più è che fanno tutto senza mai consultarci, vogliamo stare al tavolo. Siamo stufi del ruolo di figuranti sulla nostra vita». Poi c’è la prima delegata donna migrante della Fiom, Anna Magallanes, il segretario generale della Fiom di Biella Adam M'Body e tanti altri. Il succo delle proposte è: ritorno alle 150 ore e corsi di italiano nei luoghi di lavoro, recupero dei contributi pagati e chiarezza sul tfr con la nuova riforma (in quanto tempo è esigibile?). Poi ci sono le proposte Fiom per la responsabilità d’impresa sulla catena d’appalto; la certezza delle festività e dei permessi per svolgere le pratiche amministrative. Risponde il “ministro compagno” elencando ciò che è stato fatto dal governo con la proposta di legge di cittadinanza, il decreto flussi e il ripristino di un fondo immigrazione “sociale” in finanziaria e ciò che manca ovvero «il salto di qualità per superare la Bossi-Fini e modificare profondamente il testo unico sull’immigrazione». «Per riuscirci - spiega Ferrero - dobbiamo attivare un percorso di partecipazione con i migranti e le loro associazioni perché se la discussione sarà sequestrata tra destra e sinistra non ci sarà una buona legge». Al momento il ministro è impegnato in venti assemblee regionali di ascolto, in un tavolo col ministero dell’Interno e le associazioni nazionali sulla legge ed a ricostruire la consulta degli immigrati entro dicembre. I risultati veri in primavera. «Adesso è il momento di far emergere le realtà associative, il protagonismo dei migranti e un’idea dal basso di riforma della legge, diritti civili e diritti sociali». «E poi dobbiamo affrontare per legge la questione della libertà religiosa perché non si può vivere in un paese dove vi viene chiesto se siete prima italiani o mussulmani». La multiculturalità prevede un grado di civiltà e diritti uguali, a partire dalle istituzioni.